Il naufragio della Costa Concordia ha certamente offerto un piatto assai ghiotto ai giornalisti della carta stampata e della televisione. Almeno per un paio di settimane essi hanno potuto fare servizi su servizi sugli aspetti più diversi del dramma di quel colosso del mare naufragato in maniera così prosaica e banale.
Io ho seguito questo dramma come tutti i miei connazionali partecipando al dolore delle persone e della Nazione, ma c’è stato un particolare di molto rilievo che mi ha sorpreso e mi ha fatto riflettere: quello del capitano, messosi in salvo tra i primi, trovato seduto su uno scoglio, mentre sulla sua nave avveniva un dramma quanto mai tragico.
La stampa ha ripetuto che la guardia di finanza e la capitaneria del porto l’hanno invitato più volte a tornare sulla nave per dirigere l’abbandono. Pare che abbia accennato di si, ma poi se ne sia rimasto a guardare, stordito, il naufragio della sua nave.
Premetto che nelle mie letture giovanili, e poi nel periodo dell’ultima guerra mondiale, tante volte mi si è presentata la figura del capitano di una nave che, dopo aver fatto l’impossibile per salvare i passeggeri, affonda, coraggioso e fedele, col suo battello. Forse questo attaccamento quasi esistenziale alla propria nave fa parte di una certa visione eroica della vita e sa di romanticismo esasperato, comunque il capitano nella sua nave riassume nella sua persona le funzioni più importanti della vita di una comunità, egli è il responsabile primo, il magistrato, forse persino il capo famiglia. Il capitano non è solamente il tecnico esperto, ma è in assoluto il punto di riferimento per ogni necessità di quella consistente comunità di uomini che oggi si trova in una nave di crociera.
Non sono riuscito neppure ad immaginare questo capo per antonomasia che, seduto su uno scoglio, guarda sgomento l’esodo disordinato ed angosciato della gente che si era affidata alla sua esperienza e alla sua autorità.
Quel capitano della Costa Crociere m’è parso il simbolo in negativo di questa nostra società che ha svuotato e svilito fino all’ignavia e all’incoscienza uno dei punti cardini della vita sociale: il capo.
Una cultura “democratica” miope ed angusta ha finito di privare la nostra società, in ogni sua articolazione, di quegli uomini guida che sono indispensabili per l’economia, il governo, l’industria e persino la religione.
Ho letto che i capitani di industria sono la ricchezza vera dell’economia, ma io sono convinto che ogni capo che si assuma le proprie responsabilità e poi guida la sua comunità, costituisce la ricchezza vera di ogni tipo di realtà sociale.