Oggi, col computer e i telefonini multiuso non serve più, ma quando io ho frequentato le elementari la prova del nove era uno strumento assolutamente indispensabile per verificare se le operazioni erano giuste.
Il paragone può sembrare azzardato, ma In questi ultimi tempi ho pensato frequentemente a questa operazione matematica in occasione dei numerosi eccidi di cristiani in Pakistan, in Nigeria e altrove a motivo della fede.
Credo che la capacità di affrontare il martirio per non venir meno alla propria fede sia la prova del nove per verificare la consistenza e la validità del proprio credere. Il distintivo, la bandiera, l’annotazione nei registri dei battesimi e perfino la pratica religiosa e la frequenza ai riti, credo che non siano più strumenti validi per misurare la consistenza della fede.
Ripeto che in questi ultimi tempi, apprendendo le testimonianze sublimi di coerenza da parte di semplici cristiani, per nulla acculturati in teologia, che di fronte al fondamentalismo islamico non hanno esitato a pagare col sangue la fedeltà alla fede cristiana, mi sono chiesto se la fede dei cristiani della vecchia Europa, dell’Italia e pure del nostro Veneto, considerato da tanti come una riserva privilegiata di religiosità, alla prova del nove del martirio reggerebbe e darebbe esito positivo. Temo tanto che questa prova indicherebbe che l’operazione non regge, che c’è qualcosa che non quadra. Ci siamo abituati ad un cristianesimo pantofolaio, privo di spina dorsale, quasi fosse un vestito che si può smettere e buttare non appena fa un po’ più freddo o più caldo.
Recentemente ho seguito con un po’ di curiosità e di meraviglia le dispute che si sono tenute nella mia vecchia parrocchia per un problema che è sembrato tanto importante, cioè fare la messa dei bambini alle 9 piuttosto che alle 9.30. E’ sembrato che ai piccoli si chiedesse la scelta eroica di andare a messa alle 9 piuttosto che mezz’ora più tardi e che i genitori fossero costretti a qualcosa di inimmaginabile – l’accompagnarli in chiesa per le 9.
In Italia, ormai da secoli i cristiani godono di una situazione di comodo o di privilegio, tanto che si considera la fede come qualcosa di scontato e parrebbe che si pensasse che il buon Dio dovrebbe essere persino troppo contento e riconoscente che ci dichiariamo credenti, quando poi questa “fede” in realtà non significa quasi niente.
E’ purtroppo vero che quello che non si paga è ben poco apprezzato.