La bega con un mio confratello mi ha reso alquanto amara la vita in queste ultime settimane. Mi addolora quanto mai non riuscire a vivere in pace con le persone con le quali dovrei avere quasi tutto in comune.
La mia vita da prete quanto è stata bella e positiva nei riguardi dei cosiddetti “lontani”, altrettanto è stata difficile con i “vicini”, e più ancora con i colleghi. Le incomprensioni sono state molte e le critiche mi hanno spinto a chiudermi a riccio e ad isolarmi dalla mia confraternita.
Per natura e per scelta rifiuto le chiacchiere inutili, i convegni perditempo, il seguire le mode correnti, il “far da tappezzeria” alle cerimonie, i riti ampollosi e un certo servilismo ecclesiastico. Ho pagato di buon grado e senza chiedere sconto il prezzo che questa libertà comporta. Mentre mi sono speso totalmente per la mia gente, ho amato appassionatamente la mia comunità, non ho mai fatto vacanze, non mi sono mai alzato dopo le cinque e mezza e fino a quando sono andato in pensione non mi sono mai ritirato per il sonno prima delle 23.
Penso di aver amato ed ascoltato il mio vescovo, pur mantenendo la mia dignità di persona, la mia libertà di pensiero e l’onestà di rapporto. La mia casa è sempre stata aperta, non mi sono mai negato a nessuno ed ho continuato a farlo, ho sempre affermato che nessuno mi avrebbe mai recato disturbo per alcun motivo.
Ho visitato ogni anno una o più volte tutte le famiglie della mia parrocchia, anche le più ostiche, perché ho sempre ritenuto che il Signore mi mandava per tutti.
Nella mia comunità non ho mai permesso che alcun gruppo prevaricasse sugli altri. Ho mantenuto aperto il dialogo presenziando a tutti gli appuntamenti più significativi, quali il battesimo, la prima comunione, il matrimonio. Ho accompagnato alla tomba tutti i membri della comunità. Ho tentato di offrire il messaggio di Gesù tramite un settimanale che ha raggiunto le 3500 copie settimanali, un mensile inviato a tutte le famiglie, un mensile per gli anziani, una emittente radiofonica.
Tutto questo non lo ritengo un merito, ma solamente l’adempimento al mio dovere. Non ho mai preteso che gli altri si allineassero a me.
Credo di aver ottenuto qualche risultato: nel censimento è risultato che frequentava il 42% dei parrocchiani, ho lasciato 200 scout, cento chierichetti, il centro per gli anziani, una florida pastorale per gli sposi e delle strutture d’eccellenza.
Mi si accusa di essere autoreferenziale, di non adeguarmi agli indirizzi pastorali del vicariato della diocesi. Forse hanno ragione su questo punto, ma certamente torto marcio sui risultati.
Il cardinale Scola disse: «Chi ha gambe corra». Io ho tentato di farlo, mi spiace se qualche “zoppo” rimane indietro, ma non so cosa fargli!