Una saggia e umana sentenza dell’antica Roma recita: “Parce sepolto”, lascia stare i morti. Cosa che ritengo giusta e che voglio sempre rispettare.
Ieri ho letto la notizia della morte di don Verzè, proprio nel giorno in cui il “San Raffaele”, la sua splendida creatura, è stato messo all’asta.
Credo che questa sia la terza o quarta volta che mi occupo della figura e della testimonianza di questo vecchio prete veronese, ma che spese la sua vita nella città di sant’Ambrogio, Milano. I miei interventi sono stati altalenanti: ammirazione, stupore, delusione, recupero e quindi amarezza.
In questi ultimi tempi la stampa è stata particolarmente cattiva col fondatore dell’opera colossale del San Raffaele. I laici, nel senso più negativo del termine, non gli hanno di certo risparmiato critiche, accuse e non hanno mancato di puntare il dito sulla vita, l’opera, il pensiero e la moralità civica di quest’uomo di Chiesa. L’opinione pubblica cattolica è stata piuttosto tiepida nella difesa di questo religioso, ha preso le distanze, se ne è lavata le mani, consegnando idealmente alla magistratura, organo della giustizia civile, l’impresa di questo prete.
Io ritengo di dover spendere una parola ancora per questo sacerdote che ha tentato di inserire nell’umano, nella concretezza e nella società il precetto cristiano della solidarietà. Non spetta a me, fortunatamente, dare un giudizio sulla vita e sull’opera di don Verzè – fra l’altro non ho una conoscenza seria su quanto ha fatto. Però sento il dovere di aggiungere una considerazione a favore di questo prete che, nonostante tutto, ammiro e stimo.
La società e pure uomini di Chiesa, che non si sporcano le mani con la vita, che sono prudenti della peggior prudenza perbenista, che si garantiscono al massimo, che non hanno il coraggio di rischiare, che si limitano a criticare gli altri, che non si spendono tutti per una causa, che pensano sempre a fatti propri e al loro tornaconto, in maniera ipocrita si limitano a criticare e a giudicare. Così han fatto con don Verzè, il quale può aver pure sbagliato, ma ha fatto quello che nessun cittadino e nessun prete ha tentato e saputo fare.
Chi fa può talvolta ed in parte anche sbagliare, ma chi non fa sbaglia sempre e sbaglia di grosso.
Don Verzè potrà sempre dire a Cristo, l’unico che lo può giudicare con giustizia: «Signore, ho esagerato, ma tu per primo me ne hai dato l’esempio, giocandoti tutto per gli altri e ottenendo la mia stessa sorte».
Sono convinto che sbagliare per troppo amore non sia una colpa, ma sempre e comunque un merito. Ho pregato per don Verzè e l’ho pregato. Desidero e mi propongo di seguire il suo esempio solitario piuttosto che quello della moltitudine di prudenti, inetti, pavidi ed inconcludenti.