Qualche tempo fa un mio giovane collega mi chiese un consiglio: se fosse stato opportuno continuare a pubblicare un mensile che aveva trovato “agonizzante” quando è entrato nella mia vecchia parrocchia.
Per prima cosa mi venne in mente la genesi di quel periodico. Nel ’71, quando arrivai a Carpenedo, “infuriava” la contestazione. Capii immediatamente che se volevo colloquiare con la mia gente, dovevo procurarmi uno strumento. Scelsi un periodico con cui poter dire la mia sui vari problemi che riguardavano la comunità. Scelsi come testata “Lettera aperta”, perché fosse ben chiaro che quanto essa riportava era “la mia” voce.
La gente che veniva a messa prendeva il foglio settimanale ed aveva modo di conoscere il pensiero del loro parroco. Il foglio ebbe fortunatamente un certo successo, tanto che si arrivò alla tiratura di 3500 copie settimanali. Capii però, quasi subito, che il foglio, che portava prevalentemente notizie ed appuntamenti, raggiungeva solo i praticanti, che non hanno mai superato il 25-30 per cento dei residenti in parrocchia.
Io però mi sono sempre sentito mandato ad “annunciare il Regno” a tutti i seimila abitanti e quindi dovevo passare il messaggio di Cristo, i valori, la lettura della vita, e non solo notizie.
Allora diedi alle stampe il mensile che chiamai “Carpinetum”, per motivi di toponomastica, e lo mandai ogni mese in tutte le famiglie praticanti, presenti saltuariamente, credenti, scettiche e non credenti, perché la proposta di Gesù giungesse proprio a tutti.
Studiai le rubriche in maniera tale che suscitassero curiosità e, meglio ancora, interesse.
Ricordo in proposito che una di queste rubriche la pubblicai in due o tre volumi col titolo “Ai miei parrocchiani che non vengono in chiesa”.
La mia risposta al giovane collega, intelligente e volonteroso, fu quindi decisamente un “si”, perché l’attività pastorale non deve avere come primo obiettivo la pratica religiosa, ma l’acquisizione di valori cristiani, ossia la proposta per la conoscenza del pensiero di Cristo sulle varie problematiche della vita. I riti e la pratica religiosa, se non vogliamo che si riducano ad essere qualcosa di magico, devono diventare mezzo per proporre le grandi verità cristiane, cioè: Dio creatore, la sua paternità e la sua misericordia, il senso positivo della vita e via dicendo.
Quando mai le nostre parrocchie sviluppano questo obiettivo, con che mezzi e con quali risultati? Sono convinto che sia urgente e necessario un ripensamento radicale di tutta la pastorale, perché è cristiano non chi va a messa, ma chi vive secondo l’insegnamento di Gesù.
Spero proprio che il Papa non ci metta tanto a nominare il nuovo Patriarca (come sempre questa riflessione risale ad un po’ di tempo fa, NdR), e scelga quello giusto, perché non mi pare siano molti i vescovi che abbiano chiari questi obiettivi da proporre ai loro preti.