Io sono nato e ho vissuto tutta la mia fanciullezza sul lembo di terra che lambisce la sponda sinistra del Piave. Il fiume sacro della Patria scorre, quasi sempre tranquillo e sornione, verso la foce. Raramente questo corso d’acqua ingrossa e s’avvia rabbuiato e torbido. Normalmente il Piave scorre lento verso il mare, le sue acque sono solo talvolta appena increspate quando spira un po’ di brezza dall’Adriatico assai vicino.
Il rapporto con il grande fiume del mio paese è sempre stato caldo ed affettuoso, l’ho amato come un caro amico che camminava tranquillo e taciturno accanto a me.
Le mille volte che ho attraversato il ponte di ferro che congiunge le due sponde del fiume, il mio sguardo si posava con simpatia ed accarezzava quelle acque quiete e pulite che scendono dai monti per immergersi dolcemente nell’Adriatico, il mare delle terre venete, che le accoglie amorosamente a braccia aperte.
Da bambino, quando militavo con i balilla, ai tempi del Duce, più di una volta m’è toccato di lanciare la corona di alloro per onorare i sacrifici dei nostri soldati che durante la grande guerra hanno fermato “il nemico” dopo la rotta di Caporetto.
Il mio rapporto con le acque del Piave s’è nutrito ulteriormente del ricordo dei racconti del babbo, che ispirato dal patriottismo proprio di quei tempi e che ora si è di molto ridotto, faceva del nostro fiume la barriera contro chi invadeva il sacro suolo della Patria. La canzone poi del Piave sanciva, a livello emozionale, questo amore viscerale per la nostra terra: “Il Piave mormorò: non passa lo straniero!”
Questi cari ricordi di un passato ormai lontano si sono fatti più vivi in queste ultime settimane con la lettura del volume “Foglie secche”, il diario di un nostro conterraneo, don Celso Costantini, il quale partecipò da protagonista, a quelle tragiche vicende, da cappellano militare. Gli eventi che emergono dal diario di questo prete, buono ed intelligente, diventato poi cardinale di Santa Romana Chiesa, pur risentendo essi pure di un pizzico di nazionalismo, mi sono apparsi ben più realistici, fuori da quella cornice un po’ favolosa e patriottica con cui papà me li aveva descritti e il clima nazionalista proprio del fascismo me li aveva montati.
Ora il Piave rimane per me solamente un dolce ricordo della mia fanciullezza e della mia cara terra e mi aiuta ad essere riconoscente per quel patrimonio di esperienze che resta ancora un punto di forza della mia vita e che mi aiuta a scorrere lento ma inesorabile verso il mare infinito. Però, pur nella sua calma dolcezza, vi leggo un monito contro ogni qualsiasi sentimento di rancore, di odio e di pregiudizio.