Più volte ho parlato di Roberto, il mio fratello più piccolo, prete come me, e parroco della popolosa parrocchia di Chirignago. Più volte poi ho sentito il bisogno di riconoscergli capacità, dedizione, coerenza e risultati notevoli. Don Roberto è un parroco intelligente, conosce il suo “mestiere” e lo fa bene, tanto da avere una bella parrocchia, forse la più bella del Patriarcato.
Qualche settimana fa, in occasione di una “tre sere” dedicata ai suoi giovani, sul tema “La fede”, mi ha invitato ad offrire la mia testimonianza. Eravamo in quattro a dire come era nata la nostra fede, come era cresciuta, le difficoltà che avevamo incontrato e lo stato di salute attuale.
Io, ottantatreenne, ero il più vecchio, prete da più di mezzo secolo. Dopo di me c’era un impiegato di una fabbrica di Marghera, ormai in pensione, una buona quindicina di anni di meno, poi due giovani cresciuti da don Roberto, ambedue trentenni (uno vecchio scout, “quadro” della “Veritas” ed uno dell’Azione Cattolica, insegnante in una scuola delle superiori).
Il pubblico era costituito da circa 150 giovani, dai 15 ai 25 anni, attenti e silenziosi. Abbiamo offerto, tutti e quattro, la nostra testimonianza di credenti, con onestà e convinzione, tutti e quattro credenti e praticanti.
L’uomo maturo si è presentato come un vincenziano, impegnato ad essere vicino ai colleghi in difficoltà, testimone della fede in un mondo lontano, indifferente e spesso critico.
Il funzionario della Veritas ci ha raccontato come lo scoutismo l’aveva salvato e maturato alla fede.
L’insegnante ha letteralmente rubato la scena col suo discorrere scorrevole e piacevole, raccontando la storia sua e della moglie, sposi senza figli, che hanno adottato due ragazzine, una delle quali disabile, e l’altra fortemente compromessa a livello psicologico ed avevano accolto poi altri tre figli che il buon Dio, un po’ tardivamente, aveva aggiunto alle due prime adottate. E’ stata una bella testimonianza, una traduzione concreta e faticosa della fede.
Io ho arrancato – da sempre sapevo che questo tipo di interventi non mi sono congeniali – ma all’entusiasmo e all’impegno di don Roberto non potevo e non ho voluto dire di no. Comunque mi sono accorto che di fronte alle testimonianze pulite e semplici dei miei tre colleghi e al candore della splendida ed innocente platea dei ragazzi, la mia fede era molto più problematica, sofferta e messa a dura prova dalla cultura e dal pensiero corrente.
Penso senza presunzione d’essere più avanti, di star precorrendo i problemi che questi giovani, prima o poi, dovranno affrontare se vorranno che la loro fede sia credibile e feconda nel nostro tempo.
Mi auguro che incontrino chi li guidi a passare da un cristianesimo piuttosto formale e rituale ad una fede più adulta e in linea con i tempi nuovi.