Come uscire dalla crisi: un po’ di franchezza!

La Caritas e la San Vincenzo, pare facciano a gara con i sindacati e la sinistra per denunciare i milioni di italiani che devono tirare la cinghia, che non arrivano a fine mese e le centinaia di migliaia di giovani che non riescono ad inserirsi nel mercato del lavoro. Questi enti sono alleati nel denunciare questi mali della società in questo momento di crisi.

I primi però non solamente non si arrischiano a proporre soluzioni positive ed invitare la gente alla sobrietà, alla buona volontà, ma neanche pare trovino il coraggio di invitare e spronare le parrocchie, gli ordini religiosi, le curie e la Chiesa in genere a darsi da fare, a condividere il benessere di cui godono con i poveri vecchi e nuovi e a promuovere tra i cristiani una coscienza solidale. I secondi poi, appartenenti quasi tutti alla “Casta”, percepiscono lauti stipendi, fruiscono di agevolazioni di ogni genere, sbraitano con tutta la voce che hanno in petto denunciando le evasioni fiscali, l’usura delle banche, la chiusura mentale degli avversari, mentre continuano ad intascare ed a trescare con ogni tipo di sotterfugio.

Pare che nessuno si sia accorto che i due milioni di extracomunitari che oggi vivono in Italia sono occupati in quei lavori che gli italiani non si degnano e non vogliono più fare.

Diciamocelo onestamente: in Italia c’è crisi, ma anche poca voglia di lavorare. I sindacati, che vivono lautamente sullo scontro sociale, sulle rivendicazioni salariali, sulla riduzione dell’orario di lavoro, hanno ormai passato una mentalità che in un mondo globalizzato non potrà mai reggere alla concorrenza dei cinesi, degli indiani ed in genere di tutto il terzo mondo o dei paesi dell’est d’Europa.

Pochi hanno l’onestà di denunciare che oggi si cercano quasi solamente lavori non faticosi, orari raccorciati, paghe alte, poca responsabilità, poco coinvolgimento sull’andamento delle proprie imprese. I sindacati pare che quasi siano impegnati a far fallire le imprese e ad impedire ogni provvedimento che richieda più serietà e più impegno per chi lavora.

A me vengono in mente anche altre soluzioni terra terra, per superare la crisi economica. Per esempio fare in modo che i condannati possano e debbano lavorare e far si che, pur lasciando loro una parte del guadagno, il resto vada alla società. Così pure che ci siano campi e laboratori per la rieducazione di chi si droga, sempre lavorando; che vengano tassati i ristoranti e gli alberghi di lusso, i possessori di auto con più di 1500 di cilindrata, gli alcolici, il fumo, i profumi, gli indumenti firmati, i palazzi e gli appartamenti di lusso, ecc. ecc.

Devo confessare che sono figlio di mia madre che diceva sempre: «Vorrei essere io al Governo!» e condivido fino in fondo la domanda desolata della signora Novello: “Per chi paghiamo il costo della crisi?”.

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