Alla domenica la mia chiesa è gremita quanto mai e fuori dalla porta ottanta, novanta persone partecipano all’Eucaristia. Quando chiudo il messale e prendo la parola per “incarnare” nelle nostre attuali problematiche esistenziali il messaggio di Dio, mi sento quasi paralizzato dalla responsabilità di trasmettere, integro e vitale, quanto il buon Dio ci va dicendo. Allora mi aggrappo allo schema che ho preparato durante la settimana, ma mi muovo in maniera rigida, senza riuscire a dare coloritura e calore personale ai pensieri della cui validità sono quanto mai convinto, che quasi sempre fanno cantare il mio cuore e che vorrei offrire nella maniera più elegante e personale ai fratelli di fede che mi ascoltano.
Tanto spesso l’attenzione, così disponibile, della mia gente, quasi mi spaventa sentendomi inadeguato ad offrire un dono così prezioso a persone tanto care e in ricerca della verità.
Sono frequenti le domeniche in cui mi sento deluso di me stesso ed amareggiato per non essere riuscito ad offrire in maniera viva e convincente le splendide proposte del buon Dio, sempre così vere, così opportune e così valide.
Durante la settimana, invece, quando in chiesa ci sono solo venti, trenta fedeli, la meditazione sulla Parola di Dio, anche se meno preparata, mi riesce più fluida e più personale. Ho l’impressione di usare tutte le corde del violino per trasmettere la melodia di Dio, dalle note basse e calde a quelle alte e penetranti. Ho la sensazione di dialogare con semplicità, con convinzione e spesso anche con tanto entusiasmo, perché i “passi” della Scrittura su cui vado meditando ad alta voce mi appaiono così attuali, saggi e convincenti. Sento di usare una disinvoltura che alla domenica, di fronte alla folla, non ho.
Continuerò a fare del mio meglio, ma supplico il Signore che colmi i vuoti e soprattutto dia calore e incisività alle mie povere parole spesso fredde e incerte.