Sono stato vicino per molti anni a monsignor Vecchi, ho conosciuto bene questo prete che io considero il fondatore della “Chiesa mestrina”, perché prima di lui, a livello religioso, Mestre era solamente un arcipelago di parrocchie senza legame alcuno fra di loro. Ebbene monsignore, che in realtà ha pure realizzato nella nostra città parecchie strutture – basti pensare a Villa Giovanna, Ca’ Letizia, il Palazzo delle comunità, la struttura delle associazioni accanto alla canonica, ecc., ha sempre sofferto perché molti concittadini volgarmente andavano dicendo che era un “affarista” e qualche altro, in maniera un po’ più elegante, ma non molto diversa, diceva che era un bravo “manager”.
A me è parso un prete distaccato dal denaro, un uomo che visse in maniera veramente povera, ma che non ebbe paura di sporcarsi le mani dando espressione reale al suo zelo pastorale di dotare la comunità cristiana degli strumenti indispensabili per rendere realistica la carità, facendone una risposta concreta e non limitandosi ad un’enunciazione formale, comoda ed inconcludente.
Io non avrei mai immaginato che avrei avuto la stessa sorte facendomi la fama di costruttore. Nel mondo dei preti poi vige una certa convinzione, forse propagandata dai pigri, dagli inetti o dai parolai, con cui si bolla chi tenta di dar volto, respiro e concretezza alla solidarietà, come malato “del male della pietra”.
L’epiteto e la definizione non mi lascia indifferente, anzi mi amareggia alquanto perché credo di non illudermi affermando che il meglio delle mie energie e del mio tempo l’ho dedicato di certo all’annuncio del Regno, a donare il messaggio di Cristo, ma al tempo stesso m’è parso di rendere credibile e di dar corpo alla dottrina di Cristo impegnandomi per dare pure visibilità e tradurre in maniera reale il comando limpido, preciso ed inequivocabile di Gesù: “Ama il prossimo tuo come te stesso”.
Il fatto di non avere nessuna proprietà, di aver scelto di condividere la stessa condizione degli anziani poveri ai quali mi son dedicato, andando ad abitare in uno dei 315 minialloggi dei Centri “don Vecchi”, di non essermi mai comperato un’automobile, di non esser mai andato in ferie, pensavo fossero delle scelte che mi avrebbero evitato insinuazioni del genere. Invece no! Mi conforta che accuse del genere furono rivolte pure a Cristo e perciò spero che siano una parte di quella croce che ognuno deve portare per ottenere salvezza.