Il pozzo dal quale in questi ultimi tempi sto attingendo, è il volume di Adriana Zarri “L’eremo non è un guscio di lumaca”. Ripeto ancora una volta, per chi non conoscesse l’autrice di questo volume, che la Zarri è una intellettuale, nata da una famiglia contadina, che mediante lo studio approfondito soprattutto delle cose che riguardano Dio, la fede, la Chiesa, la religione, è diventata, col tempo, una teologa quanto mai apprezzata. Spirito libero e in costante ricerca, talvolta è stata piuttosto critica nei riguardi dell’apparato ecclesiastico e soprattutto si è sentita portata a valorizzare le istanze sociali proprie della sinistra in quest’ultimo scorcio di secolo.
La Zarri ha avvertito il bisogno di “parlare” di Dio e della fede soprattutto a chi si dimostra ancora molto refrattario a questi discorsi, motivo per cui ha scritto spesso sul “Manifesto” su tematiche religiose. La prefazione infatti di questo volume, che rappresenta quasi il suo testamento spirituale perché essa è morta poco tempo fa, è curata da Rossana Rossanda, personaggio di estrema sinistra e direttore de “Il Manifesto”.
La lettura che sto facendo, pur faticosa, perché il pensiero della Zarri è denso, puntuale, quasi puntiglioso nel precisare le sue convinzioni, mi sta, tutto sommato, edificando e facendo del bene perché la fede dell’autrice appare limpida e assoluta in ogni sua riflessione.
La Zarri ha trascorso gli ultimi anni della sua vita in forma eremitica essendosi ritirata in un cascinale abbandonato sulle colline piemontesi. Nella sua riflessione, che sa poco di diario e molto di indagine, afferma che spesso amici incontrati nella sua lunga vita di militante, quando le facevano visita, si aspettavano da lei, eremita, dei consigli spirituali, una buona parola, dei pensieri edificanti. Tutte cose che lei sdegnava, perché diceva che se mai avesse avuto qualcosa da dire, dato il suo vivere da eremita e in costante ricerca e comunione con Dio, non sarebbero state le parole lo strumento più adatto, ma la vita stessa. Solamente la vita, il suo spessore, la sua ricchezza di indagine e di pensiero possono diventare messaggio, solamente la testimonianza ha diritto di parola.
Ho riflettuto molto su questo rifiuto intransigente circa le “buone parole”. Oggi forse la Chiesa, la parrocchia e i cristiani in genere, affidano con troppa leggerezza il loro messaggio alla parole, strumento ormai inflazionato e pochissimo incidente sulle coscienze. Oggi pare che valga soprattutto e solamente la testimonianza. Il messaggio è la vita! Non per nulla è affermato nel prologo di san Giovanni: “La parola del Signore si fece carne”. Dio infatti sa bene la differenza fra ciò che comunica verità e ciò che invece fa solamente fresco!