In quest’ultimo tempo sto seguendo, spero con comprensibile attenzione e curiosità, la vicenda della nomina a parroco della comunità cristiana dei santi Gervasio e Protasio di Carpenedo, ove sono stato parroco per 35 anni, del giovane sacerdote don Gianni Antoniazzi.
La nomina a parroco di una comunità cristiana dovrebbe essere un evento che di per sé non fa notizia, o al massimo a cui i giornali locali dedicano quattro righette per i curiosi di cose di Chiesa. Questa volta per don Gianni la cosa non è andata così. La parrocchia di San Lorenzo Giustiniani, nella quale don Gianni operava da sette anni, s’è letteralmente ribellata, protestando in chiesa alla notizia, raccogliendo firme ed invocando a gran voce, specie da parte dei giovani, di soprassedere al trasferimento.
Questa “ribellione” popolare depone a favore di don Gianni. Oggi non è frequente che la gente manifesti rumorosamente per un trasferimento di routine. La protesta significa che don Gianni ha ben operato e s’è fatto ben volere. Magari scoppiassero più di frequente queste ribellioni popolari!
Quello però che maggiormente mi ha colpito, è che questo giovane prete abbia accettato il trasferimento mentre stava raccogliendo i primi frutti del suo straordinario impegno, abbia accettato sapendo che la parrocchia alla quale lo si è destinato gli avrebbe presentato notevoli difficoltà, non ultima quella economica, ma soprattutto mi hanno sorpreso favorevolmente le sue pubbliche dichiarazioni circa la sua volontà di obbedire e la convinzione che l’obbedire arricchisce.
Un tempo si diceva che i preti erano come i soldati e dovevano rispondere sempre “signorsì!” o, come Garibaldi, “obbedisco!” Queste reazioni sono oggi cosa d’altri tempi, specie quando la prospettiva di quello che ci si aspetta non è molto allettante.
Io sono ammirato dalla lezione di disciplina e di virtù di questo giovane prete, sono felice di apprendere che la Chiesa veneziana può contare ancora sui giovani preti di questo stampo, e più felice ancora che questo tipo di prete vada nella parrocchia che non ho mai cessato di amare. E soprattutto che egli possa ravvivare il progetto che il “don Vecchi” diventi il segno di una solidarietà come elemento sostanziale del nuovo programma pastorale.