Ogni giorno di più colgo i segni di un mondo che sta evolvendosi in maniera veloce, tanto che mi pare mi dica apertamente: “Questo non è più il tuo tempo, sei ormai un ospite sopportato, un peso piuttosto che una risorsa!”. Mai come in questa stagione della mia vita il mio pensiero va al romanzo della mia prima giovinezza “Piccolo mondo antico” di Antonio Fogazzaro. Le atmosfere delicate e struggenti, il clima di dolce rimpianto per dei ricordi avvolti da calda malinconia, soffusa da un pizzico di romanticismo, dovuto al tempo che fugge veloce, mi rende più belli i giorni del passato e più scorrevoli e serene le vecchie vicende, mentre le attuali mi sembrano più angolose ed impervie.
Mi sono sorpreso a fare queste riflessioni e a cogliere questi sentimenti mentre oggi sceglievo la foto di copertina per “L’incontro”. Tra le tante immagini che rubo alla stampa che ricevo e metto nel mio disordinato archivio, ho scelto il volto pulito e bello di una ragazza impegnata a scrivere al computer, strumento che io non so usare e al quale mi accosto come ad un marchingegno misterioso ed impenetrabile. Mentre guardavo le dita che si posavano dolcemente sulla tastiera, mi ricordai di essere, io, della generazione in cui a scuola si adoperava l’abbecedario per la scrittura e il pallottoliere per l’aritmetica. Tra questi due sussidi didattici di un tempo e il computer, che oggi è adoperato con disinvoltura assoluta a casa e a scuola da tutti i nostri bambini, “ne è passata di acqua sotto i ponti”.
Ogni settimana mi ritrovo a comporre il menabò del nostro periodico, incollando le striscioline di carta prestampate, con tutte le difficoltà di comporre armoniosamente le pagine, dovendo spesso ricorrere al rimedio degli inserti per far tornare i conti.
Un giorno una mia nipote, vedendomi tanto indaffarato, mi disse sorpresa: «Perché, zio, non impagini tutto al computer, è più veloce!». Dovetti confessare, quasi arrossendo, che non avevo dimestichezza con quell’arnese. Mi accontento, alla mia età, di passare un messaggio che faccia conoscere ai nostri giovani “le radici” della nostra cultura. Se riuscissi a far ciò mi stimerei soddisfatto e mi riterrei ancora un po’ utile per i fratelli di questa stagione della vita che non è più la mia.