Io, per il “mestiere” che faccio e soprattutto per la “specializzazione” che ne faccio nella mia chiesa al camposanto, ho purtroppo ormai dimestichezza con la morte e con il dolore. Non passa settimana che non mi sia richiesto di salutare a nome dei congiunti, gli uomini che partono da questo mondo. Tanto che spesso mi sembra di essere quasi un funzionario della “stazione di partenza per il cielo”.
Confesso che, fortunatamente, non ho fatto e non voglio fare l’abitudine a queste partenze; sempre vi partecipo infatti con tutta la mia umanità e con tutta la mia fede.
Eppure debbo dire onestamente che certe “partenze” mi coinvolgono più profondamente, mi scuotono e mi lasciano sgomento, quasi che da un punto di vista razionale ed esistenziale non riesca a recepire ed accettare la scomparsa di creature che m’accorgo che erano diventate parte integrante, quasi un tutt’uno con la mia vita.
Ricordo quando, tanti anni fa, l’aereo che trasportava l’intera squadra di calcio del Torino, andò a sfracellarsi contro il colle di Superga. Un appassionato di calcio intervistato dal solito giornalista su come vivesse quel dramma, affermò: «Quando succede un dramma del genere ti vien da dire “è una tragedia”, ma se in quel dramma sono coinvolte persone a cui vuoi bene è tutt’altra cosa».
A me è successo tutto questo quando il dottor Mario Carraro, maestro del coro nato con me a Carpenedo da più di trentacinque anni, mi annunciò con estrema amarezza: «E’ morto Bepi». Non servì che aggiungesse altro perché, pur se nella mia vecchia parrocchia i “Bepi” si contano a decine e decine, per tutti “Bepi” era l’organista, il mitico organista che per più di quarant’anni arrivava silenzioso e puntuale, saliva la stretta scaletta a bovolo per sedersi alla consolle e accompagnare tutti, assolutamente tutti gli eventi gioiosi o tristi che coinvolgevano la vita della parrocchia.
Bepi c’era quando ad ottobre del 1971 arrivai in parrocchia, Bepi c’era ancora quando il 2 ottobre del 2005 me ne andai. Bepi suonava tranquillo le canzoni gioiose e ritmate delle affollate messe del fanciullo, quando i nostri piccoli, guidati da don Adriano o don Gino facevano tremare il soffitto della chiesa battendo le mani e tirando fuori quanta voce avevano in corpo sotto la spinta dei ritmi veloci che Bepi pigiava sui tasti.
Bepi c’era alle prove e alle messe delle 12 quando, con Stefano o Fabio, sperimentavano i canti di una numerosa gioventù in ricerca. Bepi c’era due volte la settimana quando la corale faceva le prove e quando alla domenica cantava sull’altare e quei canti, mediante Radiocarpini, planavano su quasi tutto il Triveneto fino a Ravenna.
Bepi c’era sempre, con i suoi spartiti sotto il braccio, silenzioso, modesto, fedele. L’umile operaio della Montedison diventava il cuore pulsante della preghiera dell’intera comunità ogni volta ch’essa si riuniva per la lode a Dio.
Con la tragica morte di Bepi un altro pezzo di quella parrocchia che ho lasciato, scompare. Tra poco, di quella meravigliosa realtà non mi resterà che un nostalgico ricordo, ma forse la ritroverò presto tutta intera tra bianche nuvole del Cielo.
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