So in partenza che non riuscirò a passare all’opinione pubblica le motivazioni profonde che supportano il mio impegno a creare strutture e servizi per i poveri in generale e, in particolare per gli anziani indigenti. So pure che farò ben fatica a farmi comprendere anche dai cristiani praticanti e perfino dai miei colleghi sacerdoti. I giudizi in proposito che avverto nell’aria sono disparati, ma nessuno corrisponde alla realtà.
Qualcuno, in maniera sbrigativa, pensa che abbia “il male della pietra” e perciò costruisca strutture solamente per questo istinto, indipendentemente da ogni motivazione razionale. Qualche altro, con giudizio più severo, crede che io abbia la mania del protagonismo e perciò i “don Vecchi” siano nati per procurarmi gloria certa. Infine talaltro, più benevolo, approva l’operato pensando che io faccia un’azione di supplenza a quello che dovrebbe fare la pubblica amministrazione o, nella migliore delle ipotesi, che io intenda far da stimolo e da apripista alla società che tarda a farsi carico degli anziani e dei poveri in genere.
Può darsi che la mela che offro alla povera gente e alla mia città abbia nel suo interno qualche vermiciattolo del genere, però io non lo conosco e soprattutto non lo voglio.
Una volta per tutte voglio dichiarare pubblicamente che il mio impegno nel campo della carità cristiana o semplicemente della solidarietà, è per me una espressione coerente alla mia fede, un atto di culto a Dio, come potrebbe essere la celebrazione liturgica, quale una messa bassa o un pontificale. Il mio impegno solidale è semplicemente la mia preghiera e il culto che intendo rendere a Dio come altri preti fanno con la catechesi, la visita agli ammalati o la costruzione di una chiesa.
Qualche anno fa scrissi a proposito di un mio confratello che aveva promosso nella sua chiesa l’adorazione perpetua, che io preferivo invece onorare il Cristo non sotto le specie eucaristiche, ma sotto le “specie umane”, espresse dal povero, dal vecchio o semplicemente da chi ha bisogno, perché ho fatto la mia scelta in rapporto al discorso di Gesù: “Avevo fame, avevo sete, ero nudo, senza casa, in prigione ed in ospedale e tu m’hai o non mi hai dato aiuto”.
A me pareva che la mia scelta fosse coerente, pur nulla togliendo a chi sceglie di onorare Cristo sotto le specie del Pane consacrato.
Il mio confratello non mi comprese o io non mi sono spiegato, per cui sembrò che io criticassi la sua scelta, pur rimanendo vero che ero più convinto della validità della mia.
Per me dare serenità ed aiuto ai poveri, mediante qualsiasi soluzione, corrisponde all’adorazione, alla celebrazione dei sacramenti, alla catechesi o all’azione di evangelizzazione o a quella missionaria. Spero di non sbagliare, anche perché la mia scelta è ben più faticosa di quella di chi sceglie diversamente. Mi conforta però che l’opinione pubblica in genere comprende e favorisce più me che gli altri.