Quando sono arrivato, giovane prete, nel 1956, a Mestre, le suore di San Paolo organizzavano banchetti davanti alla chiesa per promuovere la buona stampa e andavano pure, casa per casa, per proporre le loro edizioni e quelle di ispirazione religiosa. Altrettanto, e forse con più determinazione, facevano le Figlie della Chiesa.
A quel tempo la pastorale, ossia l’accostarsi alle anime, non era in posizione di conservazione e difesa com’è spesso oggi, ma gli operatori pastorali, preti, frati o suore che fossero, si impegnavano con iniziative e proposte magari umili ma costanti, mirate a “conquistare le anime”. Poi, pian piano, le suore di San Paolo si ridussero a far da commesse, non sempre “zelanti e brillanti”, nel loro negozio, prima in via Verdi, poi in via Poerio, infine chiesero completamente di andarsene via da Mestre. Le Figlie della Chiesa si ritirarono nel loro guscio di San Gerolamo accudendo a quella chiesa ridotta ormai a mezzo servizio.
Questi ripiegamenti su posizioni più arretrate sono ormai un fatto generalizzato, infatti sono scomparse le associazioni professionali dei maestri cattolici, dei laureati, della Fuci, degli imprenditori, dei preti di fabbrica, dell’associazione cattolica adulti, dei preti che visitano annualmente le famiglie…
Le azioni umili, concrete degli operatori pastorali sono state sostituite da discorsi complicati e da parole roboanti che, a mio modesto parere, macinano aria fritta.
Ho pensato a questo andamento qualche tempo fa, leggendo sul Gazzettino questo trafiletto.
Morto Fra’ Alfonso
Il frate questuante che aiutava i poveri.
Non vedremo più camminare per le calli veneziane, con l’immancabile sacco azzurro sulle spalle, fra’ Alfonso (al secolo Aldo Manfren), dell’ordine dei frati minori. Il frate questuante, per quarant’anni nel convento di San Francesco della Vigna, si è spento sabato nel convento-infermeria di Saccolongo, dove si trovava per le cure della malattia che l’aveva colpito quattro anni fa. Fra’ Alfonso, 74 anni, era nato a Treviso il 9 febbraio 1937. A Venezia era giunto nel 1967 e all’opera di questuante, ha affiancato le attività del patronato parrocchiale, degli Scout e dei chierichetti. Era molto amato dai ragazzi, dai quali si faceva però rispettare con regole rigorose, arrivando, per esempio, a sequestrare il pallone ai giocatori indisciplinati. Ma soprattutto girava per le case e le calli, per ognuno aveva una parola buona, un sorriso, una stretta fraterna di mano: la sua semplicità, la sua umiltà, la sua disponibilità l’hanno fatto un riferimento per tutti i veneziani. Una grandissima amicizia lo ha sempre unito ai Patriarchi.
Certamente il frate da cerca non salvava il mondo ma, a mio parere, era ancora segno di una Chiesa presente, dal respiro popolare, che si mescolava con la vita quotidiana degli uomini comuni. So che certuni giudicheranno questi miei pensieri un po’ romantici e nostalgici di un passato che ormai non c’è più. Forse questo è vero, però mi preoccupo perché il poco pare sia sostituito dal nulla, e questo non è esaltante.
Ho letto la riflessione di don Trevisiol sul frate questuante,l’ho conosciuto e posso testimoniare che a Venezia era amato perchè lui amava Venezia.
Quando la malattia gli permetteva di recarsi a Venezia per alcuni giorni,fra’ Alfonso aveva già un programma in mente “doveva far visita a tutte le persone sofferenti, a tutti i benefattori del convento e delle opere francescane”.
Era un estimatore di papa Luciani,manteneva contatti con tutti e il suo sorriso umile ma sincero portava chi lo incontrava a riflettere sulla sua figura di religioso.
Non posso dimenticare il suo sorriso nonostante la sofferenza, spesso celata, il senso del servizio innato,il suo motto segreto:” dà agli altri, dopo riceverai”.
La chiesa colma di gente il giorno del suo funerale testimonia il vuoto che ha lasciato. Toni