Nel mio piccolo paese di campagna, ove sono nato, il gota della comunità era alquanto minuscolo: il parroco, la “comare”, l’oste, il farmacista e il medico. In caso di malattia però si ricorreva al farmacista per avere una diagnosi sui nostri malanni, perché tutti dicevano che il farmacista ne sapeva come il medico, ma mentre il medico si faceva pagare la visita, il farmacista richiedeva solamente il costo delle medicine e per l’economia povera del tempo non era cosa da poco.
In questi giorni il mio pensiero è tornato di frequente al mio vecchio medico di paese, perché era una specie di Leonardo da Vinci: faceva da internista, chirurgo, dentista, ortopedico, pneumologo ed altro ancora. Le rare volte che la mamma mi ha portato da lui, batteva sulla schiena e mi faceva dire trentatré.
A questo medico, che aveva un’aria un po’ magica, anche perché era l’unico meridionale del paese, non servivano ecografie, scintigrafie, Tac – Pet ed esami vari, ma faceva la diagnosi all’istante e prescriveva le medicine relative. Nonostante questo empirismo veloce, in paese si viveva e moriva pressappoco come oggi da noi con tanti ospedali di eccellenza.
Ho pensato a questo mondo ormai remoto in relazione ad una recente brutta caduta che mi causa notevole dolore. Avendo una sorella che fu caposala all’Umberto I, ed una suora che ha lavorato per trent’anni nello stesso ospedale, in questi giorni esse hanno consultato una serie di medici specialisti di loro conoscenza, medici che a loro volta hanno richiesto esami di ogni genere, mentre io mi sono tenuto i miei dolori!
Sarei tentato di concludere che tutto l’apparato medico della nostra sanità non ha risolto i problemi di fondo e questo è anche vero perché da sempre si nasce e si muore, comunque. Poi, a pensarci meglio, mi pare invece di dover concludere che le burrasche piegano un po’ le piante giovani, che poi si raddrizzano subito, ma i vecchi alberi si schiantano con tanta facilità.
Tra i guai della vecchiaia c’è anche questo, nonostante il progresso!