Il benessere nasce solamente dal rigore morale!

Ho nell’animo un rospo di cui, prima o poi, devo liberarmi; già parlandone, mi pare di togliermi un peso e di dare un contributo per bonificare un settore importante della vita del nostro Paese. Anche durante l’ultimo sciopero generale promosso dalla CIGL, alla vista di certe sequenze e alle dichiarazioni di certi scioperanti, questo “rospo” ha ricominciato a muoversi e a darmi noia.

Sia ben chiaro che io soffro veramente al pensiero che una moltitudine di operai debba vivere con mille, milleduecento euro al mese; non so proprio come facciano a sbarcare il lunario e perciò sono con loro senza riserve di sorta. Le disuguaglianze di remunerazione sono veramente abissali e “gridano vendetta al cospetto di Dio”, a cominciare dagli stipendi dei parlamentari, dei dirigenti della Regione, dei dipendenti del Quirinale, dei magistrati e di certi liberi professionisti, commercianti, artigiani e via dicendo. Detto questo, però, non riesco ad accettare certi comportamenti da sfaticati, da fannulloni o anche da dipendenti per niente interessati all’efficienza e alla prosperità dell’azienda in cui lavorano.

Certi slogan di gente che pensa che il benessere debba essere il risultato che viene dall’alto e non dall’impegno di tutti, dal primo dirigente all’ultimo facchino, mi deludono ed irritano più che mai. Diritti e doveri per me devono essere come dei fratelli siamesi. Credo che in questa diseducazione di comodo i sindacati, o certi sindacati, abbiano delle grosse colpe sulla coscienza.

Non riesco a tollerare che i dipendenti, di qualsiasi livello e con qualsiasi mansione, non facciano con entusiasmo, con onestà e con spirito di sacrificio il loro dovere e non si impegnino per l’efficienza e il conseguimento di buoni risultati dell’azienda in cui operano.

Sarà perché io provengo da una piccola azienda artigiana, per cui mio padre, prima, e mio fratello poi, non hanno mai conosciuto orari di chiusura, mansionario, riposi ordinari e straordinari, e spesso anche ferie. E’ una mia profonda convinzione che i “lavoratori”, siano essi operai, manovali, preti o impiegati, debbano operare come se l’azienda in cui lavorano sia di loro proprietà.

Il benessere proprio e quello comune nasce solamente dal rigore morale e dal sudore della fronte, non dagli slogan o dal codice dei diritti del lavoratore.

Sarò anche un “anticontestatore”, ma questa è la mia convinzione e se sono riuscito a far qualcosa nella mia vita, lo debbo solamente a questa dottrina e a questa prassi di vita.

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