Papa Wojtyla s’è imposto all’attenzione del mondo durante i suoi 23 anni di pontificato. Il fascino della sua figura così virile e forte e della personalità così viva e poliedrica, la sua maniera di esercitare l’attività apostolica così innovativa, hanno avuto un forte impatto sulla sensibilità e sulla coscienza del mondo intero.
Non s’era mai visto un Papa che fosse riuscito ad influenzare la grande politica internazionale, a galvanizzare moltitudini di giovani, a girare il mondo in lungo e in largo parlando di Cristo e del suo messaggio a nazioni con regimi favorevoli ed altri decisamente contrari.
Questo è il “miracolo” di un Papa convinto di avere l’annuncio più valido per l’umanità e più che convinto che pure all’uomo d’oggi sono assolutamente necessari i valori che la Chiesa può offrire.
Ora poi che Papa Giovanni Paolo II è morto, s’impone all’attenzione di credenti e non credenti più che da vivo. Oggi Papa Wojtyla è diventato un mito, un pontefice che fa sognare e che dona coraggio e speranza anche per ciò che sembra impossibile.
In questi giorni sono quasi costretto ad indagare, o volerci vedere più chiaro, sull’umanesimo di questo Papa; sto tentando di armonizzare e quasi di ricucire la vita di un Papa che s’è fatto costruire una piscina in Vaticano, che più di una volta è andato a sciare sull’Adamello, che usciva in incognito spesso per passare qualche ora con gli amici, a cantare attorno al fuoco, mentre cuocevano le braciole, che si dava del tu con l’amico presidente Pertini, socialista ed ateo dichiarato, e nel contempo aveva una vita profondamente mistica.
Sto leggendo il volume scritto da chi ha certificato la santità che l’ha portato agli onori degli altari e che documenta come Wojtyla fosse un asceta che passava ore e notti in contemplazione, disteso sul nudo pavimento.
Queste “contraddizioni”, tali almeno ai miei occhi, hanno prodotto come risultante un’umanità non solo accettata, ma della quale la gente del nostro tempo è incantata e che fa accorrere a Roma milioni di persone per vedere la sua bara ed attingere speranza dal suo ricordo.
La mia prima conclusione è che l’uomo debba saper coniugare il corpo e l’anima, la carne e lo spirito, senza mai trascurare o appiattire l’una o l’altro.