La lettera di quel carcerato che ho pubblicato a Pasqua

Nel numero di Pasqua de “L’incontro” ho creduto giusto, dopo una seria riflessione, pubblicare la lettera che un ergastolano scrive a Gesù in occasione della Pasqua. Un certo signor Giancarlo Zilio, veneziano approdato in campagna, m’ha inviato questa “lettera” con il suggerimento di pubblicarla. Devo premettere che questo signore pare abbia scelto come apporto di solidarietà e di carità cristiana quello di tenere corrispondenza con i carcerati. Già in passato avevo conosciuto un vecchio parrocchiano di via Lorenzago, che corrispondeva con i carcerati.

Il mio parrocchiano di un tempo era un cristiano tutto d’un pezzo, sano, saggio, virile e sapiente, un cristiano senza fronzoli e con i piedi per terra, che mi confidava che quella povera gente che doveva marcire in cella per tutta la vita, poteva sentire conforto nel dialogare con qualcuno che li riteneva ancora uomini e soprattutto fratelli, nonostante essi fossero consci d’essersi macchiati di crimini esecrandi e pure fossero convinti di dover pagare i loro delitti.

Il mio parrocchiano mi metteva pure in guardia sulle difficoltà e sui pericoli di tale apostolato, perché non tutti gli ergastolani sono “santi”!

Ho pubblicato la lettera di quel carcerato pensando che Cristo ha patito, è morto e risorto, proprio per tutti, anche per chi è all’ergastolo. Quel sant’uomo di don Primo Mazzolari, in una predica della settimana santa, parlò del traditore di Gesù chiamandolo “il nostro fratello Giuda”. A maggior ragione può essere fratello chi è in carcere.

L’ho pure pubblicata perché ritengo che la nostra società sia profondamente ipocrita quando dice che il carcere deve “rieducare”, mentre in realtà esso diventa una “punizione” senza prospettive di redenzione, o perlomeno c’è poco sforzo per riconoscere nell’uomo che ha pur sbagliato, una persona, un figlio di Dio, e dargli la possibilità di vivere, di sperare e di redimersi.

Non è giunta reazione di sorta a quella pubblicazione. Però chi me l’ha inviata mi ha scritto per ringraziarmi e lamentandosi che il suo parroco – più giovane e più elegante di me – e poi “Il Gazzettino” e “L’Unità” avevano lasciato cadere l’invito.

In aggiunta una signora è andata un po’ oltre dicendo che anche Gesù, quando ha parlato, è stato messo in carcere, arrivando a concludere che chi vuole incontrare il Maestro, deve andare in carcere per trovarlo.

Forse queste conclusioni sono esagerate, anche se a pensarci bene anche Gesù ha affermato: «Ero in carcere e tu …?»

Conclusione: ogni problema dell’uomo deve interessarmi e coinvolgermi e quello del carcere, della giustizia e di tutto il resto non posso, non debbo e non voglio delegarlo solamente alla magistratura e alla politica. Dio, nel suo giudizio, chiederà anche a me: «Dov’è tuo fratello?».

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