Sacerdoti in viaggio d’estate

Tra me e mio fratello don Roberto, parroco di Chirignago, c’è grande stima e profondo affetto, però ognuno di noi vive la sua vita.

Sia l’uno che l’altro siamo stati abituati, dai nostri genitori, a lavorare seriamente, a non perder tempo, a spenderci totalmente per la nostra gente.

Don Roberto, sta ottenendo in parrocchia, a mio modesto parere, dei grossi risultati. Io l’ammiro e sono convinto che abbia delle risorse d’intelligenza, di capacità di comunicare e di simpatia superiori di molto alle mie, anche perché, mentre io sono un introverso, musone e schivo, egli è esattamente l’opposto assomigliando a mio padre che era di una simpatia unica.

Con questo non è detto che condivida ogni sua scelta e credo che anche lui nei miei riguardi pensi allo stesso modo.

Io seguo la sua vita mediante le confidenze positive dei suoi parrocchiani che ho modo di incontrare e soprattutto leggendo il suo bollettino parrocchiale che lui, gentilmente, mi fa avere ogni settimana. Normalmente non mi lascio invischiare dalle polemiche e dalle sue vicende pastorali per non sembrare che lo faccia per motivi di parentela.

Ultimamente don Roberto ha scritto un corsivo in cui affermava di non approvare i parroci e i preti che durante l’estate mollano le parrocchie per andare a visitare gli angoli più remoti del pianeta.

Se non che un confratello, che peraltro vive lontano dall’Italia, gli ha mandato un reprimenda, dicendogli che non ha diritto di giudicare, che ognuno è responsabile di se stesso.

Don Roberto ha risposto chinando il capo in atto di pentimento e difendendosi accampando un argomento che non condivido, ossia che per farsi leggere bisogna adoperare anche un po’ di pepe.

Io ho ottant’anni, non mi permetto di giudicare alcuno nominalmente, ma affermo a chiare lettere che, questo modo di riempire i mesi estivi, è un malcostume mondano, per nulla evangelico e pastoralmente negativo.

Ci sono mille modi per aprirsi al mondo, per farsi una cultura larga. Tacere su questo argomento significa connivenza, privare i fratelli di quella correzione fraterna che a cominciare da S. Paolo ai profeti dei giorni nostri, fortunatamente non è mai mancata.

Se la pastorale va male, una grossa responsabilità ricade anche sulle carenze dei sacerdoti, cioè di noi preti, per essere chiari!

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