Un paio di volte mi è giunta voce che qualcuno mi ha criticato perché chiedo di sovente aiuto ai concittadini per poter realizzare strutture e servizi per i poveri e perché suggerisco con una certa insistenza, a chi non ha parenti diretti o in difficoltà, di ricordarsi nel testamento di lasciare in eredità tutti, o in parte, i loro averi per enti, quale la Fondazione Carpinetum, che sono impegnati nella solidarietà.
Queste critiche mi spiacciono, mi addolorano, ma non mi fermano nei miei propositi. La carità per me non può e non deve esaurirsi in una predica dal pulpito, in un proclama di partito o una pia aspirazione, ma deve concretarsi in scelte precise ed efficaci.
Monsignor Vecchi, quando qualcuno gli faceva le stesse critiche, che oggi fanno a me, rispondeva sicuro: «Le persone alle quali rivolgo i miei appelli devono essermi riconoscenti e ringraziarmi perché le aiuto ad essere più nobili e più felici, ed in aggiunta li metto nella condizione di assicurarsi un posto in cielo!». Io la penso alla stessa maniera. Aggiungo che questo comportamento è lodevole, ma è ancora più lodevole e degno di ammirazione chi riesce a far del bene non dopo la morte – cosa che non costa niente – ma aiuta il suo prossimo mentre è vivo e lo fa pure con certo sacrificio e non donando soldi che gli sono superflui.
Mi hanno raccontato di un prete veneziano, colto ed amante dei libri, tanto da avere una splendida biblioteca personale, che ad un certo momento della sua vita ha cominciato a donare a destra e a manca i suoi volumi quanto mai preziosi. A chi gli chiese stupito “Come mai ti disfi di volumi che hai acquistato con sacrifici e che dici di amare tanto?” rispose: «Ora, quando dono un volume, dal quale prima o poi dovrò disfarmi, diventa un gesto di amicizia e di simpatia, perché è una mia scelta, mentre quello che resterà dopo la mia morte in ogni caso dovrà esser dato a qualcuno e perciò io non ne avrei merito alcuno, né potrei dimostrare affetto ed amicizia alle persone che mi vogliono bene».
Bello, nobile e giusto lasciare in testamento tutti o parte dei propri beni ai poveri, ma ancora molto più bello, più nobile e più giusto farlo in vita, perché così questo dono diventa segno di amicizia e di calda solidarietà.