Io credo di non essere un buon parlatore, anzi mi reputo introverso e fin troppo riservato, ma mi riconosco la dote di saper ascoltare, per cui ricevo abbastanza frequentemente le confidenze personali anche della gente che incontro occasionalmente.
Spesso, venendo a contatto con questo vecchio prete, che tutti istintivamente chiamano “padre”, vengono a galla i piccoli drammi quotidiani, le angustie e le frustrazioni proprie di chi è dipendente.
Ad esempio quelle degli autisti delle imprese di pompe funebri, che mi accompagnano nei vari ospedali cittadini per l’ultima benedizione, prima che il legno copra per sempre il volto dei nostri cari defunti; pur non essendo essi miei amici, molto di frequente mi parlano delle loro cose.
Qualche giorno fa mi accompagnava all’Ospedale dell’Angelo un dipendente di una delle ventine di imprese di pompe funebri operanti a Mestre e nell’interland. E’ un “ragazzo” che conosco da tanti anni, lo reputo intelligente, onesto, serio lavoratore, uno che fa il suo mestiere con buona volontà e serietà. Quella mattina era un po’ rabbuiato perché un suo capo, che di certo non è né “signore” né corretto, ad una sua osservazione, pur pacata e rispettosa, l’aveva apostrofato con una frase irrispettosa ed incivile “Taci, operaio da mille euro al mese!”
Sto male, molto male, quando incontro tale arroganza! C’è ancora una vasta fascia di società che valuta gli uomini dallo stipendio che percepiscono e dal lavoro che fanno e non sanno neppure cosa significhi “persona”.
Noi abbiamo eminenti manigoldi che siedono in Parlamento, in banche importanti, in imprese ed istituti pubblici, che sono pagati con un sacco di quattrini però rimangono autentici manigoldi.
Speravo, prima di morire, di vedere un mondo in cui le persone siano valutate per quello che sono e non per quello che fanno o, peggio ancora, per quello che percepiscono!