Non so chi abbia inventato l’affermazione che il mondo è ormai un “villaggio globale”, ossia una realtà tanto vicina ed intima per cui veniamo a conoscenza un po’ di tutto e siamo coinvolti in ogni vicenda. I mezzi di comunicazione di massa rendono ogni giorno più reale tutto questo. Tragico perciò rimane il fatto che stampa, televisione ed internet siano contrassegnati dal “peccato originale” di essere più sensibili agli aspetti crudi ed amari della realtà e meno propensi a proporre ciò che c’è di più propositivo.
In queste ultime settimane alla ribalta dell’informazione campeggiano le rivolte, a domino, dei Paesi della costa settentrionale dell’Africa.
Le varie rivoluzioni che si stanno susseguendo a ritmo incalzante sono ormai le protagoniste in assoluto della televisione e della stampa di tutto il mondo. Con modalità diverse, con più o meno violenza, queste rivoluzioni, a carattere popolare, stanno mettendo sotto gli occhi di tutti il marcio che stava sotto a regimi che, fino all’altro ieri, si presentavano con un certo perbenismo.
Pare che l’allargarsi di queste rivoluzioni di piazza stiano però caratterizzandosi con un crescendo di violenza e di sangue.
Inizialmente avevo sperato che la gente dei vari Paesi si rifacesse alla “non violenza” di Gandhi o di Martin Luther King e che finalmente i popoli avessero imparato la lezione stupenda di questi grandi testimoni del nostro tempo i quali, pur pagando con la vita la loro dottrina, hanno insegnato che con la resistenza passiva si ottengono risultati migliori che non con l’uso della forza. Ora però temo che “l’uomo delle caverne” finisca per prevalere e si affidi alla violenza innescando quella catena di sangue e di odio che finisce per sporcare anche la sola “guerra” degna di essere combattuta, che è quella della libertà!