Il primo sabato del mese vado sempre a portare la comunione ad una mia coinquilina del “don Vecchi”. Questa signora porta bene i suoi novantasei anni; un po’ lenta nei movimenti perché “robustina”, ma se ci vedesse un po’ di più potremmo dire che sta bene! Vive da parecchi anni con grande serenità nel suo appartamentino, che s’affaccia sul grande prato verde di viale don Sturzo.
Una volta fatta la comunione e recitate assieme le principali preghiere della nostra fede, mi siedo a conversare un po’ con lei. Mi racconta della sua vita, delle figlie che le vogliono tanto bene e la vengono spesso a visitare, di un mondo di nipoti, pronipoti ed assimilati; è felice perché si sente tanto amata e le pare di vivere da regina nel suo piccolo regno fatto della cucina-soggiorno, della stanza da letto, del bagno e di un bel terrazzino nel quale cura con infinito amore le sue piante.
Non esce quasi mai perché vede solo qualche penombra ed ha paura, ma nonostante questo mi dice che passa con tanta serenità le sue giornate: un po’ riordina la casa, un po’ prega, un po’ segue soprattutto il parlato della televisione e poi ascolta la radio durante la notte.
Credo che questa vecchia donna abbia veramente tutta la felicità possibile a questo mondo e relativa ai suoi anni. Da tanto tempo io la ritengo un fiore all’occhiello del “don Vecchi” ed un sicuro punto di riferimento nel proporre il modello degli alloggi protetti con assoluta convinzione.
L’ultima volta che sono andato da lei mi ha raccontato della sua infanzia, passata in una vecchia casa tra i campi della Bissuola. E’ rimasta orfana ancora bambina, da poco finita la prima guerra mondiale, assieme ad altri cinque fratelli più piccoli di lei. Andò a vivere con una zia, anche lei con sei figli, che è morta anch’essa un mese dopo la sua sorella. Alla nonna, in 30 giorni, sono rimasti 12 bambini piccoli da crescere, oltre il dover badare alle galline e ai campi.
La mia inquilina mi parla sempre con venerazione e riconoscenza infinita di questa nonna che ha cresciuto questa tribù di bambini, passando loro valori e coraggio di vivere, senza aver fatto corsi di psicologia.
La “nipotina orfana” del dopoguerra ha 96 anni e vive ancora appoggiandosi a quei sani principi che la nonna, pur in situazioni impossibili, le passò con sicurezza e amore. Ogni volta che questa creatura mi parla d’altri tempi, mi verrebbe voglia, se ne avessi la possibilità, di offrirle una laurea honoris causa ed una cattedra all’università di pedagogia, alla cui frequenza obbligherei tutte le ragazze della nostra città.