Quest’anno ho vissuto la letizia e il dramma del Natale di Cristo con un paio di mesi di anticipo sulla data del 25 dicembre, fissata dalla tradizione. Un comune amico mi chiese di ascoltare un cristiano del Congo che da dieci anni vive a Mestre e lavora a Padova.
L’ho incontrato al “don Vecchi” nel tardo pomeriggio quando la vita sociale, nella grande hall del Centro, si spegne perché i residenti si ritirano nei loro appartamenti per la cena che gli anziani consumano assai di buonora.
Il giovane congolese portò con sé la sua bimba di tre anni, una bimba bellissima, due occhi luminosi, un volto armonioso color ebano, capelli crespi e più neri ancora, un fare da donnina, pudica, riservata, innocente.
Questo signore mi parlò della sua condizione angosciosa, per non dire tragica, perché la moglie aspetta a giorni un secondo figlio; aveva ottenuto una stanza dalla parrocchia per un mese finché non avesse trovato un alloggio. Aveva bussato a tantissime porte ottenendo un diniego dopo l’altro, mentre il mese stava per scadere e il nuovo bimbo per arrivare. Mentre mi parlava alle sue parole si sovrapponevano nel mio animo le rime della nota filastrocca del brano che noi vecchi abbiamo imparato a scuola e, il bussare inutile a tutte le porte di Maria e Giuseppe mentre il campanile suonava inesorabile il susseguirsi delle ore.
Non ricordo il nome delle locande alle quali il povero Giuseppe, sempre più angosciato, chiese alloggio, mentre s’avvicinava quello che doveva essere il lieto evento.
Quello poi che mi colpì di più fu la fede linda ed assoluta di quel cristiano in nero: «So di certo che il Padre ci vuol bene e mi aiuterà!»
Per tutta la notte m’è parso di sentire i lugubri rintocchi che si sperdevano inutilmente per l’aria, sopra una città diffidente e preconcetta. Quanto avrei desiderato che il bimbo nero nascesse in uno dei 250 alloggi del “don Vecchi”, però i regolamenti, le convenienze si opponevano. Quanto non ho desiderato avere il cuore grande di don Benzi, di don Gelmini o di don Mazzi che credo abbiano il coraggio di non subire regole o Consigli di Amministrazione quando si tratta dell’uomo povero e derelitto che soffre ed attende!
All’alba di una notte insonne mi sono attaccato al telefono, avendo intravisto di lontano una pallida speranza. Poggiandomi su questa speranza sogno che quest’anno il Gesù nero, di questi fratelli che vengono da lontano, possa nascere in una casa ospitale.