Gli atei come fanno?

Recentemente ho pubblicato una lunga lettera apparsa su “Gente veneta”, il periodico della nostra diocesi, scritto in cui un certo signor Luciano Verdone, persona certamente aperta alla filosofia, dimostrava che “negare Dio è una novità più grossolana che mai”, opponendosi, con rigore razionale, alla tesi di uno sparutello gruppo di atei militanti che vorrebbero far credere che il credo rappresenta “un pensiero debole ed un’idea malata”.

Era dai tempi del liceo e dei primi anni dei miei studi di filosofia e teologia che non affrontavo tematiche di questo genere e non risentivo le logiche stringate e rigorose di Aristotele e di san Tommaso, ma dopo una prima lettura frettolosa, mi sono presto ritrovato come chi è costretto ad ascoltare e parlare una lingua da tanto tempo trascurata. Da decine di anni mi sono sempre occupato della qualità del credere e dell’inverare nella vita concreta le verità su Dio; soltanto ultimamente mi è capitato di riflettere sulle posizioni, per me preconcette, di un certo ateismo militante e sulle posizioni di comodo di chi si crede ateo, pur non supportato da alcun ragionamento.

Ora, il manifestarsi di questo rigurgito ateista, mi ha risvegliato da un lungo torpore, portandomi a constatare che a livello personale mi trovo nella posizione di un famoso entomologo, Faber, il quale affermava: «Io non credo, perché vedo il volto di Dio nella natura e nel Creato!»

Qualche tempo fa, camminando lungo il sentiero lastricato che gira attorno al “don Vecchi”, vicino al quale ho piantato i ceppi di crisantemi di tutte le specie che la gente butta via dalle tombe quando sono sfioriti dopo novembre, e vedendoli tutti pronti a sbocciare a ottobre inoltrato, mi sono detto: “come fanno il giornalista Augias e il medico Veronesi a spiegare che tutti questi fiori, così diversi, si presentano all’appuntamento della fioritura come fossero svegliati da un lungo letargo invernale con uno squillo di tromba?”

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