Io non sono certamente un ammiratore delle case di riposo per mille motivi, primo fra tutti perché l’anziano viene privato di ogni seppur minima possibilità decisionale.
Qualche settimana fa sono stato a visitare un mio “confratello” ricoverato in una casa di riposo che, peraltro, gode di ottima fama a Mestre e che in realtà non è un’azienda in cui degli azionisti abbiano investito del denaro pensando che il rendimento sia maggiore e più sicuro! Ebbene l’ospite, pur se con una coscienza ormai limitata e fragile, mi raccontava, amareggiato e stupito: «Qui tutto è proibito “non deve far questo, non può andare là … ” ogni decisione è in mano dell’infermiera!»
Normalmente poi il bacino in cui si pesca il personale di servizio è certamente povero, spesso fatto prevalentemente da extracomunitari, che se non altro, hanno una cultura ed una sensibilità tanto lontane dalla nostra e sono sempre costretti ad accettare i lavori più ingrati che la nostra gente non vuole più fare. Comunque ci sono delle situazioni che, nel tipo di società in cui viviamo, dobbiamo accettare ricorrendo a questa soluzione, pur riveduta, corretta e umanizzata al massimo.
Io convengo con la dottoressa Corsi, alto funzionario del Comune di Venezia per quanto riguarda la terza età. Ella afferma: «L’anziano deve rimanere nella sua casa ed essere accudito come un tempo lo erano i nostri vecchi, accompagnati con amore al termine dei loro giorni». Io convengo totalmente su questo progetto e penso che la stragrande maggioranza dei nostri vecchi potrebbe vivere in questo contesto, ma a condizione che si possa ricreare la grande e numerosa famiglia patriarcale, con la coscienza di poter sorreggere con rispetto e amore l’anziano in perdita di autosufficienza.
So che questo obiettivo è difficile da perseguire, perché il contesto sociale è individualista o peggio ancora egoista, perché i famigliari spesso tentano di scaricare il “vecchio incomodo”; perché talora l’anziano rappresenta “un’entrata” da sfruttare col minimo sforzo e costo possibile; perché le norme burocratiche sono ben lontane dall’aver questa sensibilità e quindi l’importante per l’apparato è erogare comunque un servizio senza poi accertarsi se esso funziona e rispetta la dignità dell’anziano.
Noi al “don Vecchi” ci troviamo nella quasi tragica situazione che le case di riposo per non autosufficienti hanno sempre fuori il cartellino “completo”. Nel Centro non riusciamo ad avere quell’elementi giovani e disposti ad accettare la fragilità esistenziale del vecchio, qualora ce li cercassimo, e ciò sarebbe possibile, lieviterebbero i costi così che i “poveri” non potrebbero rimanere.
Spesso sarei tentato di “mollare”; per ora m’aiuta anche a non farlo una cara alunna di anni lontani, che pur dentro al groviglio burocratico del Comune, continua a credere ed operare come venti anni fa le ha insegnato questo “vecchio docente”.