Non dobbiamo mai dimenticare le nostre colpe

Questa pagina del mio diario non posso iniziarla che così: “messa e sermone”, dopo il pomeriggio passato nella villa degli armeni ad Asolo. Anche se volessi fare altrimenti non sarei capace di farlo.

Il sermone sulla pagina di Luca che narra la parabola del ricco Epulone che “indossava vestiti di porpora e di lino finissimo ed ogni giorno si dava ai banchetti, mentre un povero di nome Lazzaro stava alla porta, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco” mi riportava agli occhi e al cuore la stupenda villa asolana del cardinale di Venezia, il patriarca Contarini, e la fila di settecento poveri diavoli che ogni settimana vengono negli scantinati del “don Vecchi” per portarsi a casa, nelle borse di plastica, i generi alimentari che le catene degli ipermercati e le fabbriche alimentari non riescono più a commercializzare.

Fatalmente l’Epulone aveva il volto del ricco cardinale veneziano che poté costruirsi una villa in una posizione incantevole per godersi il fresco che scende dal Piave e dal massiccio del Grappa, per trascorrere i mesi estivi lontano dal “soffego” della laguna; e Lazzaro il volto coperto dal “chador” delle donne del Marocco e della Tunisia, di quelle dell’est d’Europa e degli extracomunitari che non riescono a trovar lavoro e vengono al “don Vecchi”, perfino mal sopportati dagli abitanti del quartiere don Sturzo.

Il guaio poi fu che la coscienza mi spinse a pensare che pure io e noi cristiani che abbiamo tutto – dal cibo alla casa, dalla speranza al messaggio del Vangelo, dalla pace al bel sole del nostro Veneto -, magari inconsapevolmente finiamo per indossare gli abiti dell’Epulone per nulla preoccupati della fame e della miseria dei tanti Lazzaro del mondo, che abitano, da Haiti all’India, dall’Africa alle mille altre contrade del mondo e quindi meritevoli del “tormento degli inferi”!

Ho finito per dire a me stesso e ai miei fedeli che non dobbiamo solo preoccuparci e batterci il petto per le colpe del cardinal Contarini, ma anche per le nostre colpe personali, a motivo dell’opulenza e della miseria ancora presenti nella società di oggi.

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