I perché de L’Incontro

Qualche giorno fa ho ricevuto una lettera intelligente e buona di un lettore che, tra qualche complimento generoso, mi ha precisato che alcune affermazioni che io avevo dato per scontate, non corrispondevano a verità. Se fossero state osservazioni di una critica amara avrei reagito polemicamente, almeno dentro di me; esse però erano benevole e gentili.

Tutto questo mi ha fatto riflettere sull’avventura entusiasmante, ma allo stesso tempo faticosa e impegnativa, quasi temeraria, de “L’incontro”.

Tante volte nei meandri della mia coscienza irrequieta e sempre esigente, m’era affiorato il dubbio di essermi avventurato in un’impresa più grande di me, per la quale sarebbe stato necessario un solido retroterra culturale, una lettura intelligente degli eventi e poi una correttezza di discorso che sono convinto di non possedere.

Talvolta mi sono autodifeso convincendomi che il periodico era stato dato alla luce al momento della pensione e lo pensavo come l’unico modo per uscire da un improvviso e totale isolamento. Il periodico m’è parso allora l’unica tavola di salvataggio che mi capitasse sottomano per non affogare e per salvarmi.

Però ora sono passati cinque anni e la mia situazione psicologica ed umana è notevolmente cambiata. La lettera onesta e corretta di un lettore sconosciuto ha riproposto, nitida e precisa alla mia coscienza, la domanda: “perché?”

La vecchia risposta non tiene più. E allora?

In questi giorni di riflessione mi è affiorata dalla coscienza una bozza di giustificazione che, ridotta all’osso, può essere condensata in queste due affermazioni.
1)Ritengo doveroso, almeno per quel che posso e mi riguarda, tentare di liberare il messaggio cristiano, diventato religione strutturata da tante incrostazioni della tradizione che l’hanno sclerotizzato e ridotto a rito, togliendogli gran parte di quella forza originale che illuminava e dava senso alla vita; privandolo, in una parola, di quella che era e dovrebbe essere la vera forza di rigenerare il vecchio uomo.
2)Non riesco più a sopportare una società individualista, egoista; mi pare che essa porti alla morte per suicidio e perciò credo di dover spendere tutte le mie forze residue per promuovere la solidarietà.

Sono conscio che queste sono utopie, però non si può vivere per niente, anche se fossi un illuso ed inadeguato a questo progetto.

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