Grazie Mora!

Le figlie della “Mora” mi hanno chiesto di celebrare il funerale della loro madre nella mia chiesa del cimitero. Esse davvero mi hanno fatto un gran dono, perché nessun prete penso che abbia conosciuto, come me, questa vecchia donna che lascia la nostra terra a 95 anni di età e nessun prete, credo, si sarebbe trovato nella condizione di darle il saluto che ella si meritava.

Io, poi, avevo dei grossi debiti da assolvere nei riguardi di questa cara donna, che m’ha fatto molto del bene, ma che l’ha fatto pure alla mia comunità e a tantissimi anziani, anche se quasi nessuno se n’è accorto e nessuno è venuto a dirle grazie e a salutarla alla sua partenza per il Cielo.

Non so neppure come e quando ho incontrato Piero, il marito della Mora, che poi in verità si chiamava Virginia. Piero m’ha raccontato mille volte la sua storia: giardiniere presso dei conti sul Terraglio; richiamato alle armi, ha combattuto la sporca guerra in Grecia. Poi il ritorno, la disoccupazione e la povertà. La piccola famiglia stava in piedi con le magre risorse che sua moglie si procurava andando a servizio. Poi un incidente in cui fu coinvolto, lo rese infermo per mesi e mesi, salvandosi solamente curando una gabbia di canarini e scrivendo un suo diario infinito.

Non so dove e come, fatto sta che l’ho incontrato e, ben presto, è diventato il giardiniere, il maggiordomo e “L’amministratore unico” di Villa Flangini: piantò alberi, sradicò rovi e gramigna, facendo letteralmente risorgere il parco abbandonato.

A fine settembre accompagnavo la Mora e Piero nella grande villa asolana, dove occupavano un appartamentino lindo e grazioso della dépendance. Piero trafficava da mane a sera e la Mora puliva e ripuliva: sempre con un sorrisetto appena accennato, ma sempre sornione.

Quando capitavo ad Asolo, trafelato, a portare arredi, mi faceva da mangiare; era davvero una brava cuoca e i suoi pranzetti così familiari erano tanto cari. Piero parlava e parlava, ogni tanto chiedeva galantemente approvazione e sostegno alla moglie, piuttosto parca di parole e di sentimentalismi.

Volli veramente bene a questi cari vecchietti e fui riamato e stimato in abbondanza.

All’inizio di giugno li riandavo a prendere con l’inizio della stagione. A quel tempo la splendida villa si riempiva come un uovo, tanto che perfino le mansardine del sottotetto erano occupate. Bei tempi! Fu una splendida avventura quella della villa asolana per gli anziani.

Mentre parlavo, di fronte alla salma della Mora e alla chiesa composta, queste accorate immagini mi passavano per la testa come un documentario affascinante, la voce si faceva roca e le lacrime si affacciavano, vere, alle ciglia. Dissi un grazie caldo e riconoscente alla moglie di Piero, se lo meritava! Per la mia vecchia comunità la Mora è stata come una delle tante pietre umili e nascoste sotto la malta, ma che sono quelle che reggono l’edificio.

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