Questa mattina, uscendo di casa per iniziare il mio servizio giornaliero, ho incontrato Carlo, incontro che m’ha offerto un pizzico di ottimismo. Carlo è un dono fattomi da una giovane e simpatica assistente sociale della zona di Mestre Centro.
Non so dove abbia raccattato questo povero gramo, che assomiglia tanto, non so se più a Banfi o a Fantozzi. Comunque questa addetta ai servizi sociali ha scoperto questo naufrago della nostra città e ha tentato l’impresa, pressoché impossibile, di metterlo in sesto. Come ci sia riuscita è stato veramente un miracolo, perché liberare qualcuno, quasi affogato dal mare insidioso di Bacco, è impresa quasi sempre perduta.
La giovane donna, con l’entusiasmo della sua fresca giovinezza, venne a parlarmi per un caso di reinserimento sociale. Dissi di si, perché anch’io, come lei, sono rimasto un sognatore sprovveduto ed inguaribile.
Il soggetto ha cominciato “il suo servizio” di un paio d’ore due volte alla settimana. Mi lambiccai il cervello per trovargli un lavoro e finii per dargli una scopa in mano ed una pattumiera per raccogliere le carte nei dintorni del “don Vecchi”.
Forse, ad affezionarmi a Carlo, è stato il modo con cui scopa anche i fuscelli di fieno o le briciole di carta anche negli angoli più remoti; lo fa con una serietà, con un impegno ed una decisione, come andasse all’assalto all’arma bianca gridando “Savoia!” Pian piano ha appreso altre mansioni, tanto che ormai viene ogni mattina.
Terminati i due mesi fissati dai regolamenti dei servizi sociali, trovammo modo di rinnovargli il contratto del Comune: 100 euro al mese, più le eventuali mancette di suor Teresa, che lui oggi riconosce come “principale”, e le mie.
Ora Carlo è ormai di casa, si muove con disinvoltura, si consulta ed aiuta Gragory, il giardiniere ad ore del “don Vecchi”. Qualche settimana fa mi disse, un po’ mogio mogio e titubante: «Don Armando, i frati chiudono la mensa fino alla prima settimana di settembre; vengo da voi?». Ha cominciato a venire, e dopo due giorni mi ha fermato per dirmi: «Don Armando, non vado più alla mensa dei frati, vengo da voi»!
Mia sorella Rachele, inconsapevole dei progressi, gli ha offerto un quartino di vino. Carlo ha rifiutato. Ho capito che ormai era sulla via della redenzione.
Oggi Carlo fa parte della nostra famiglia e, per quanto dipende da me, continuerà a farlo, se non altro perché ogni volta che lo vedo, con gli arnesi da lavoro in mano, mi fa l’effetto di una iniezione di speranza e di ottimismo. Nulla è perduto!