Oggi non ho più il coraggio di concedermi il piacere di leggere un romanzo o di dedicare qualche ora all’ascolto della musica sinfonica, che mi piace da morire. Uno come me, che sta vivendo da un pezzo nei tempi supplementari, ha una tale urgenza e frenesia di far gol, per vincere la partita della vita, che non gli pare di potersi più permettere divagazioni ed impegni che non siano strettamente necessari.
Qualcuno mi dice che sbaglio a pensarla così, talaltro mi cita san Paolo che afferma che qualsiasi cosa è ben fatta se è fatta per il Signore. Io però, pur accettando con la ragione questi discorsi, a livello esistenziale non riesco più a sottrarre neppure un minuto a quello che credo sia il mio dovere. Detto questo però, ringrazio infinitamente il Signore d’aver letto molto; forse un po’ disordinatamente, perché non ho incontrato educatori che mi hanno guidato, però quello che ho letto mi ritorna come una dolce nostalgia del passato e profuma anche il mio presente. Così mi sento spesso costretto a ringraziare autori che non avranno mai la soddisfazione di sapere che molti dei loro pensieri son fioriti, hanno talvolta allietato e talaltra temprato lettori sconosciuti di popoli diversi.
Se dovessi, come sarebbe doveroso, ringraziare pubblicamente gli autori che mi hanno formato come uomo e come prete, dovrei scrivere una lunghissima lista. Non posso però non citare Cronin, con i suoi romanzi: “Anni verdi”, “La cittadella” o “Le stelle stanno a guardare” o “Le chiavi del regno”. Devo a lui se non sono diventato integralista e bigotto. O trascurare Bernanos, col suo “Curato di campagna”, per lo stimolo ad interrogare sempre la coscienza. O Tolstoi, Dostoewskij e la letteratura russa, che mi hanno aiutato a incarnare la mia vita nella storia e nel cuore dell’uomo. Quanto contò per me “Guerra e pace” o “Delitto e castigo”!
Come potrei non ringraziare Hemingway per “Per chi suona la campana?”, per “L’uomo e il mare” o per “Addio alle armi”. Da lui ho compreso il cuore dell’uomo, i suoi drammi e la poesia espressa con una prosa limpida ed essenziale e la sua condanna inappellabile contro l’assurdità e la meschinità della guerra.
Neanche vorrei dimenticare Bruce Marshall, per l’ironia nei riguardi di una religiosità fittizia, fragile ed incartapecorita. Quanto mi sono cari “Ad ogni uomo un soldo”, “Il miracolo di Padre Malachia”!
Ogni tanto salgono a galla della mia memoria – ora tutta buchi – pensieri, trame, messaggi. Non mi basta dir loro «Grazie», sento il bisogno di dire al mio buon Dio: «Signore, ricordati quanto d’aiuto sono stati a questo tuo povero prete!»