Ci sono certe affermazioni religiose che il prete fa durante le sue catechesi o le sue prediche, che la gente ascolta senza batter ciglio e senza ribattere alcunché. Però ho l’impressione che spesso parole, idee o messaggi del genere passino veloci sopra i capelli dei devoti ascoltatori senza lasciar traccia alcuna.
Dire che Dio è il punto fermo della nostra vita, che noi viviamo solamente perché il Signore ci vuol mantenere nell’essere, che la fede è essenziale per vivere, è un discorso abbastanza scontato al quale nessuno si ribella, ma del cui contenuto c’è un assenso piuttosto formale. Sarebbe più faticoso obiettare, piuttosto che accettare supinamente, una “verità” che pare aver poco a che fare con i problemi reali della vita, quali la salute, lo stipendio, la carriera o l’amore. Qualche tempo fa, nella mia meditazione, m’ero talmente convinto dell’importanza di questa verità, che m’era parso di capitale importanza passare questo concetto ai membri della mia comunità che, ogni domenica, accorrono numerosi, partecipano attenti e ai quali voglio moltissimo bene.
La mia comunità è veramente la mia famiglia che io tento di aiutare ad imparare a vivere, ma dalla quale ricevo, ogni domenica, un aiuto veramente importante, perché tacitamente mi aiuta a comprendere che vale la pena continuare a fare il difficile mestiere del prete.
Ricorsi perciò al racconto di un “fatto”. Mi ricordai che molti anni fa avevamo chiesto a Cesare Maestri, la famosissima guida alpina, di parlarci delle sue ascensioni e delle sue avventure in montagna.
Della sua conversazione ricordai un episodio. Maestri un giorno era impegnato su una parete di sesto grado – sopra di lui la cima, sotto un baratro di quattrocento metri. Sennonché, come avviene spesso in montagna, il cielo improvvisamente si oscurò e scoppiò un temporalone con lampi, tuoni e una pioggia sferzante. Era verso sera e perciò, allo scalatore, non rimase altro che piantare un chiodo alla roccia, appendervi un’amaca e passare la notte buia appeso a quel chiodo.
Maestri è un ottimo parlatore, perciò ci trasmise la sensazione esatta della sua angoscia e della preoccupazione per la tenuta del chiodo. La vita dipendeva da come il chiodo s’era conficcato nella roccia.
Conclusi guardando negli occhi l’assemblea dei fedeli: «Ci sono dei momenti nella vita che nulla può reggere, se non la fede nel Signore. Soltanto lui può offrirci “un chiodo” che ci permetta, in certe circostanze, di non sfracellarci nel baratro. Solamente quel chiodo piantato nella roccia, e non altro, ci può salvare.