Per tanto tempo ho coltivato una falsa concezione della parola “utopia”. M’ero convinto che la sua traduzione più esatta fosse espressa dalla parola “illusione”. A ribadire questo concetto, che ora ritengo del tutto sfasato ed erroneo, aveva contribuito la lettura di Cervantes, con i suoi protagonisti: don Chisciotte e il fedele scudiero Sancio Panza.
Da parecchi anni ormai mi si sono aperti gli occhi, interpretando in maniera radicalmente diversa questo termine, tanto che l’utopia è entrata a pieno titolo e in maniera positiva non solo nel mio linguaggio, ma nella mia lettura della vita. L’utopia costituisce per me quasi un valore assoluto verso cui tendere ad ogni costo e con tutte le nostre forze, anche se convinti che non riusciremo mai a realizzare quel valore e a raggiungere in maniera completa quella meta.
L’utopia è un obiettivo nobile ed alto, da conquistare sempre più, pur coscienti di non raggiungerlo mai, perchè è impossibile che l’uomo, essere finito, possa contenere qualcosa che lo supera e che è più grande di lui; ma tutto ciò non deve esimere l’uomo dal continuare nel suo sforzo per far proprio questo valore.
Ricordo certe lezioni di monsignor Vecchi, il quale ci confondeva con certe affermazioni che ora capisco quanto fossero sagge ed intelligenti. Chi mai potrà appropriarsi completamente del concetto di verità, di giustizia, di bellezza? Forse nessuno. Però, man mano che uno procede in questa direzione, sempre più si arricchisce di questo valore, anche se rimarrà una meta inarrivabile nella sua entità sostanziale.
I sogni, gli ideali e i valori sono dei nobili fratelli minori dell’utopia; essa però rimane la regina perché tutto sommato è una manifestazione dell’Ente Supremo che ci permette di “abitare in Lui” nella misura in cui riusciamo a progredire nella sua “conquista”!