Prima che entrassi in ospedale ci fu una burrascata anticipatrice dei temporali estivi. Una notte è soffiato così forte il vento del nord da ammucchiare, contro le mura del cimitero, una quantità sconfinata dei vecchi fiori di plastica collocati sulle tombe, quei fiori che rendono più desolante e povero l’amore della nostra gente verso i propri defunti. I fiori veri sopravvivono nella loro bellezza, si e no un paio di giorni, poi sembrano materiale da pattumiera. Dopo qualche tempo il biroccio dei becchini porta il tutto nella discarica. E’ diventata prassi seguita quasi da tutti che quando i congiunti ritornano per la prima visita dopo la sepoltura, comperino un mazzo di fiori di plastica, sempre troppo belli per essere veri, ma che presto, con l’alternarsi della pioggia e del sole, sbiadiscono e svuotano quel ricordo e quell’amore dei quali si pretenderebbe che essi fossero segno.
La burrascata di qualche settimana fa, non ha solamente spazzato via i fiori di plastica, divelto qualche grosso ramo, ma ha anche letteralmente sradicato due cipressi centenari, uno nel campo presso il porticato a sud prospiciente la vecchia chiesa ed un altro nel campo presso il vecchio ingresso del camposanto. Ho visto questi grandi fusti lunghi una ventina di metri, con le radici al sole e tutta la ramaglia appoggiata sulle tombe. I cipressi hanno poco radicamento e per di più la terra attorno era stata mossa per lo scavo delle fosse.
E’ triste e desolante l’immagine di questa pianta che normalmente accarezza, dolce e superba, il cielo, desolatamente accasciata per terra. Questa immagine, non so per quale associazione di idee, m’è venuto da collegarla con le convinzioni, gli ideali, i valori e le utopie dell’uomo. Guai se le nostre convinzioni vengono a mancare di un forte radicamento con la cultura e la coscienza dell’uomo, è quanto mai triste incontrare uomini con le radici al sole, con radici che non affondano più su verità forti e sicure, ma sono esposte agli eventi e allo sguardo impietoso e deluso dei passanti.