Qualche tempo fa, non so chi, mi ha presentato una serie di frasi di un poeta di cultura ispanica: Gabriel Garcia. Sono stato colpito molto profondamente da queste frasi così intense e pregne di calore umano e di poesia. I poeti hanno la capacità di mettere a nuovo il contenuto delle parole e di renderle cariche di fascino, tanto da farti scoprire che quel mondo che talvolta pare banale, scontato e pressoché insignificante, è invece affascinante e meraviglioso.
Un tempo, quando celebravo l’amore dei giovani che si presentavano all’altare, spinto anche da un certo romanticismo insito nella mia persona – sentimento di cui non mi sono mai vergognato e del quale mai mi sono voluto disfare – arrivavo a dir loro che solo i poeti, gli innamorati e i santi sanno veramente cogliere la bellezza della vita.
Garcia, ammalato e morente, affermava, partendo da questa sua situazione esistenziale: «Se questi fossero gli ultimi giorni della mia vita, direi, senza un momento di esitazione e con tutta la ricchezza del mio spirito “ti voglio bene”.»
Mi venne in mente questa lettura e questi sentimenti quando, dopo un intervento chirurgico durato molte e molte ore, mi sono riscoperto solo, indifeso ed impotente, in una linda camera di rianimazione con le pareti tutte piene di luci che segnavano diagrammi multicolori, manometri e ticchettio di battiti cardiaci. Nel mio animo s’affacciarono lucide ed insinuanti le parole “Se queste fossero le mie ultime ore” e mai, come in quei momenti, sono stato cosciente delle parole belle non dette, dei sentimenti non espressi, degli incontri perduti, della bellezza, della verità e dell’amore non realizzato. Mi è sembrato che una fila interminabile di persone care attendessero il turno perché io dicessi loro quelle parole care che, per superficialità ed insipienza, non avevo detto loro.