Un esempio che ogni mestrino dovrebbe seguire!

Io sono sempre stato esigente con me stesso e purtroppo lo sono anche con gli altri. Non riesco né a comprendere, né a tollerare che dei sessantenni – o perché sono andati presto a lavorare, o perché sono stati occupati presso enti statali o parastatali, o perché hanno avuto, per motivi diversi, degli abbuoni – se ne vadano in pensione e vivano il resto della vita oziando, trascinandosi da una sedia all’altra o da una passeggiata alla visita ad un ipermercato.

Nella vita ognuno deve dare il suo contributo sempre, viva vent’anni o ne viva cento, e questo indipendentemente dalla pensione “legale”. Ognuno mangia, respira, cammina per strada, beneficia del lavoro degli altri, e perciò è giusto che ricambi, occupando il suo tempo ed impegnando le sue capacità a favore del suo prossimo. San Paolo, a questo proposito, è perentorio: “Chi non lavora non mangi!”

C’è un lavoro retribuito con lo stipendio, e c’è pure un lavoro che deve accontentarsi della riconoscenza o del benessere del suo prossimo. Preferisco infinitamente chi lavora in nero – dicano pure quello che vogliono sindacati o politici – a chi perde il tempo facendo nulla.

L’altra domenica indicai alla ammirazione dell’assemblea che gremiva letteralmente la nuova chiesa del cimitero, il signor Nino Brunello che, a novantadue anni, ogni domenica si presenta puntuale col suo amato violino, quel violino che lui ha suonato per la sua intera lunga vita, per accompagnare il canto del gruppetto di anziani del Don Vecchi che aiutano l’assemblea a lodare il Signore col canto.

Quella mattina il vecchio violinista, che aveva suonato con altri orchestrali fino a mezzanotte all’hotel Gritti di Venezia, alle dieci s’era presentato, sereno e sorridente, a compiere gratuitamente e con entusiasmo, il suo servizio all’altare. Sentii il bisogno di indicare all’ ammirazione dell’assemblea questa bella testimonianza di fede e di laboriosità. Tutti gli batterono le mani.

Quanto sarei felice che ogni mestrino meritasse l’applauso dei suoi concittadini per il dono del proprio tempo e delle proprie capacità.

La predica, percorso non sempre facile!

Qualche tempo fa ho scoperto, in uno dei tanti periodici che mi arrivano, un vademecum per le prediche domenicali: la regola dei tre “C” per avere un esito positivo.

La predica deve essere:

1) corta;
2) chiara;
3) convincente.

Io da sempre ho abbracciato questa dottrina, però calare questa norma dalla teoria alla pratica non è di certo la cosa più facile di questo mondo.

Quando la pagina del Vangelo da commentare riassume o è in linea con i convincimenti più profondi della mia coscienza, allora riesco abbastanza serenamente ad affrontare l’argomento. Quando però m’imbatto in certe pagine di san Giovanni, che volano alto e che si rifanno ad un misticismo che mi è estraneo, allora son guai! Per quanto rifletta, preghi o cerchi di documentarmi, annaspo tra mille difficoltà.

Per me il sermone domenicale deve avere un carattere cherimnatico, ossia deve essere un messaggio deciso, convincente, che indica una meta condivisibile a cui tendere, mettendo in moto contemporaneamente la ragione ed il cuore.

A volte mi pare di colpire nel segno quando sento l’assemblea partecipe, attenta, silenziosa, ma se non ho questa sensazione, allora mi pare di girare a vuoto, mi sento perduto e non mi resta che offrire al Signore il mio “fiasco” o l’occasione perduta di fare un po’ di bene, terminando al più presto il sermone.

Mi hanno riferito che monsignor Crociata, che deve essere un pezzo grosso del Vaticano, recentemente ha affermato che è ora che i preti la finiscano con certa paccottiglia di oratoria religiosa, inconcludente, ripetitiva e desolante. Io sono d’accordissimo, però credo che chi sceglie i brani del Vangelo da commentare dovrebbe pur tener conto che non tutti i preti sono Lacordaire o Bossuet, e quindi dovrebbe aiutarci a proporre il Vangelo nella sua integrità, senza però scegliere pagine che di loro natura sono mille miglia lontane dalla nostra cultura e dalla nostra sensibilità.

Quale che sia il nuovo sindaco, spero si occupi del bene della città!

Nota: questa riflessione di don Armando è precedente alle primarie del Partito Democratico che hanno sancito la candidatura di Giorgio Orsoni.

Pur controvoglia, a motivo del formato tabloid dell’attuale Gazzettino, che mi è cordialmente antipatico ed indisponente, sto seguendo le manfrine dei vari aspiranti a sindaco di Venezia. Per il centrodestra, da quel che ho capito, pare che ci sia in campo solamente il ministro Brunetta, piccolo, arrogante, saccente, indisponente e laico!

Io dovrei essere contento perché una decina di anni fa, in una occasione come questa, mi mandò a chiamare per propormi l’assessorato alla sicurezza sociale. Non avrei potuto accettare, comunque Brunetta perse le elezioni, motivo per cui non ebbi neppure l’imbarazzo di un diniego per “incompatibilità di ministeri”.

Qualche tempo fa gli scrissi perché pensavo che potesse darmi una mano. Non ebbi neppure un cenno di risposta. Ho pensato che a motivo del rigore e del risparmio avesse abolito la segreteria e perciò, dovendo fare tutto da solo, non avesse proprio il tempo per rispondere ai suoi concittadini. Comunque ho l’impressione che ora, che vuole cambiare la Costituzione e fondare la Terza Repubblica, non abbia proprio voglia di annegarsi a Venezia visto che l’acqua sale fino ad un metro e cinquanta!

Nel centrosinistra sento parlare di Orsoni, il quale ha dichiarato che io l’ho preparato alla prima comunione quando ero a San Lorenzo. Se Orsoni diventerà sindaco, dovrei essere in una botte di ferro perché ho sempre insegnato a tutti i miei ragazzi che la solidarietà è il cuore, l’anima e la vita del cristiano.

Poi la stampa parla di Bettin e della Fincato. Con Bettin, eccetto che per il discorso dei centri sociali, che lui ritiene il danno minore non chiuderli, mentre io ci metterei sopra la più grossa pietra tombale, per tutto il resto ritengo che egli sarebbe una delle garanzie più sicure per quello che riguarda lo stato sociale e l’attenzione alla povera gente e questo è quanto di meglio mi aspetto dal nostro sindaco.

La signora Fincato la conosco da poco, ma credo che essendo un persona intelligente e cortese, con lei dovrebbe essere facile intendersi. A lei debbo la chiesa del cimitero.

Ora sto pregando che, qualsiasi sia il nuovo sindaco, metta in atto progetti di rinnovamento senza lasciarsi avviluppare da condizionamenti di sorta, ma puntando ad ogni costo al bene della città.

Abbagliante, Divina Provvidenza che testimonia il grande passo di un giovane

Già qualche settimana fa ho sentito il bisogno di fissare sulla carta un incontro particolarmente significativo che ho fatto al termine della messa celebrata in cimitero. Si trattava di uno di quegli incontri che fanno più bene degli esercizi spirituali di sant’Ignazio, che durano un mese intero in meditazioni, verifiche, silenzio e preghiera.

Un giovane mi domandava i riferimenti bancari perché aveva deciso di fare una donazione al Don Vecchi per la nuova struttura che sogniamo di aprire a Campalto, volendosi egli spogliare di una ricchezza inutile.

Non li ricordavo, perché ora che abbiamo adottato la prassi europea, per versare anche quattro soldi occorre ricordare mezza pagina di numeri e di sigle. L’Europa forse ci ha caricati di tutta la pignoleria della burocrazia francese e soprattutto tedesca. Forse i tedeschi si sono abituati al “chiodo” da secoli; io, che amo la “finanza creativa” e la vita senza legami, sento sempre più spesso il bisogno di mandare a quel paese questa pignoleria europea.

Il giovane mi fece capire che la sua decisione non nasceva da un colpo di filantropia, ma derivava da una scelta lucida di disfarsi di ciò che appesantisce la vita per “cantare la gloria di Dio, come gli uccelli dell’aria e i gigli del campo”.

Passarono alcune settimane e non successe nulla, pensai che a questo mondo si incontrano spesso persone strane, sennonché, qualche giorno fa, il mio “direttore”, che frequenta la banca come io faccio la visitina al Santissimo, mi ha riferito che erano stati accreditati sul conto corrente della Fondazione ben settantacinquemila euro da una persona che chiedeva l’anonimato.

Capii immediatamente chi aveva donato quei centocinquanta milioni! Dentro la mia coscienza s’accesero immediatamente due fari. Il primo mi fece capire che grazia e che fortuna sia constatare che a questo mondo ci sono ancora giovani che si giocano la vita sulla proposta di Cristo; averne incontrato anche soltanto uno è per me come aver incontrato Giovanni Battista, Elia o san Paolo! Il secondo faro, che mi ha abbagliato gli occhi, m’ha fatto vedere il volto della Divina Provvidenza. E per me, uomo di poca fede, questo è un miracolo super!

Al Patriarca

Il Patriarca mi ha mandato gli auguri per Natale. Penso che li abbia mandati a tutti i preti, i frati e le suore della diocesi, un paio di migliaia di collaboratori, più o meno vicini.

Quest’anno il cartoncino era un po’ più sobrio che non nel passato, probabilmente il Patriarca ha tenuto conto della crisi e del grosso impegno finanziario per il restauro del seminario; tirar fuori una università di carattere internazionale dalla vecchia bicocca che mi ha ospitato per i dodici anni di seminario, deve essere un’impresa veramente colossale!

Ogni tanto tento di immaginarmi i cameroni da cento letti, o le cellette con le inferriate alla finestra, quando alla sera alle 21 passava il “prefetto” e chiudeva a chiave la porta dall’esterno ed un quarto d’ora dopo toglieva la luce. Faccio fatica a pensare come riusciranno a farne delle stanze con bagno e tutti i conforts.

Ma torniamo agli auguri; li ho graditi alquanto, anche se immagino siano fatti in serie perché so che il Patriarca dispone di una numerosa ed efficiente segreteria. Ho tentato di vedere se la firma era autografa o stampata in tipografia. Non sono riuscito a scoprirlo, ma già il fatto che abbia voluto mandarci gli auguri con le parole di un santo Padre della Chiesa, m’è motivo di conforto e di gradimento.

Il Patriarca è molto più giovane di me, ma ha anche tanti e tanti impegni più di me. Spesso lo penso gravato di responsabilità, grane di ogni genere e vorrei poterlo aiutare. Per questo motivo quest’anno gli ho risposto con una lettera per assicurargli che, se anche non vado agli incontri organizzati dalla Curia, mi sento partecipe della vita della Diocesi che egli governa e che sta impegnando ogni forza residua ed ogni minuto per il Regno.

Spero che la segreteria gli abbia riferito che, se anche vecchio, scontroso, protestatario, mi sento partecipe e corresponsabile della missione della Chiesa di Venezia nei riguardi del Popolo di Dio e che perciò il mio Patriarca può contare sulla vecchia guardia alla quale appartengo da un pezzo.

Il Gazzettino formato tabloid non è più il “mio” Gazzettino…

Quando di primo mattino aprivo Il Gazzettino, che suor Teresa mi porta prima della colazione, mi sembrava di spalancare la mia finestra sul mondo e in particolare sulla mia città, e scoprirla ogni giorno uguale e diversa.

L’ho confessato varie volte, io sono abbastanza abitudinario: mi alzo alle 5,30, mi rifaccio il letto, dico il breviario e alle 7 faccio un po’ di colazione; uno yogurt e una tazzina di caffelatte, mentre normalmente sfoglio Il Gazzettino, che suor Teresa con gentilezza e spirito di sacrificio, acquista dal giornalaio di viale don Sturzo; dedico alla lettura 15-20 minuti, cinque per le notizie nazionali e dieci per Mestre e Venezia, alle 7,25 parto per il mio “lavoro”: apertura e riordino della “cattedrale” e della succursale, la vecchia ed amata cappella alla quale ho dedicato quarant’anni della mia vita.

Leggo Il Gazzettino fin da bambino. Ad Eraclea, mio paese nativo, una volta non arrivava che questo periodico. Il Gazzettino rappresentava una realtà amica e familiare; quei gran paginoni, quegli articoli magari di poco conto, ma a cinque-sei colonne! Tutto quello che accadeva a Mestre, Venezia, diventava interessante.

Ora è arrivato, per volontà di non so chi, il formato tabloid; ogni volta che prendo in mano la vecchia testata di Talamini, mi pare di incontrare un estraneo che si è introdotto furtivamente a casa mia, mi sembra uno sconosciuto con un cappottino troppo stretto, che parla a monosillabi, che riduce ogni evento a fatto banale e scontato, neppure degno di uno sguardo, seppur superficiale.

In questo ultimo tempo mi son chiesto inutilmente “Ma perché non hanno aspettato ancora un po’ per cambiare, non hanno pensato che a noi vecchi hanno rubato un altro pezzo del nostro “piccolo mondo antico?”

La vecchiaia è anche questo: sentirsi più soli perché i tuoi “amici” ad uno ad uno se ne sono andati. Ora è morto perfino il vecchio Gazzettino!

In ricordo di Ibleto Gori

I miei rapporti con Ibleto Gori risalgono ormai a molti anni fa. Ibleto era uno dei 6000 parrocchiani che ho visitato ogni anno per almeno 35 anni di seguito. La porta di casa sua, che inizialmente si era aperta cigolando con tanta diffidenza, di anno in anno andò ad aprirsi con sempre maggior cordialità.

Fin da principio Ibleto, romagnolo purosangue, di nome e di pensiero, mi disse che accettava la visita e la benedizione solamente per rispetto a sua moglie che era credente.

La moglie, sfortunatamente, morì ed Ibleto continuò a ricevermi in casa e a volere la benedizione in ricordo e per affetto della sua moglie credente. Di fatto diventammo amici cari, egli arrivò perfino ad invitarmi a pranzare con lui preparandomi il famoso piatto veneziano “risi e bisi”.

Ibleto era capo operaio, capace, coerente e non ammetteva per nessun motivo il poco impegno sul lavoro.

Il destino purtroppo s’accanì nei suoi riguardi, colpendolo con un tumore alla bocca. Affrontò il male con stoico coraggio, non permettendosi mai un lamento.

Al tempo della malattia della moglie m’aveva supplicato che ottenessi per lei una tomba vicino alla mia chiesa del cimitero, cosa che purtroppo non era in mio potere. Ammalatosi, chiese lo stesso favore anche per lui e fortuna volle che fosse accontentato dalla sorte. Alla fine del porticato, dalla parte destra, addossato alla mura, c’era, fino a qualche giorno fa, la sua tomba, col marmo inclinato e la scritta: “Non desidero né fiori né preci”. Credo però che si trattasse pressappoco di una storia come quella della benedizione della casa ed io perciò, passandogli davanti cento volte al giorno, mi fermavo per un “requiem”, poi guardavo la sua foto e sempre mi sembrava che mi sorridesse sornione e commosso, senza però mancare ai suoi principi, forse di ravennate repubblicano e mangiapreti.

Qualche giorno fa hanno esumato la salma e portato via la lapide. Mi ha addolorato la perdita di un certo rapporto visivo con questo caro amico “lontano”, ma di certo, passando per via Montegrotto ove abitava, o nel vialetto ove Ibleto ha riposato per quindici anni, non mancherò di pensarlo con affetto ed ammirazione e di continuare a chiedere al Signore di riservarmi un posto accanto a questo “ateo” sui generis!

Un dono quantomai gradito

Una carissima signora, a cui voglio molto bene, anche se è sempre esagerata nelle espressioni d’affetto e di ammirazione nei miei riguardi, quest’anno m’ha regalato l’ultimo volume di Vittorino Andreoli, “Preti”, viaggio fra gli uomini del sacro. Questa signora mi ha lasciato in chiesa il grosso volume con una dedica “esagerata”, come è il suo modo di mostrarmi affetto e riconoscienza per l’orizzonte bello ed infinito che ho tentato di indicarle: “Ad un gran prete auguro un grande 2010. Con affetto”.

Probabilmente, se avesse scritto “Ad un vecchio prete” sarebbe stata più nel giusto, ma siccome lei è fatta così, io così com’è le voglio bene. Monsignor Vecchi m’ha insegnato che dobbiamo voler bene alle persone come sono, perché se pretendessimo di voler bene solamente a quelle che rientrano nei nostri cliché, finiremmo per non voler bene a nessuno.

Ma non è di questo che voglio parlare, anche se ribadisco che io tento e voglio innamorarmi di uomini e donne reali non di realtà fittizie, da manuale, e talvolta credo che qualche seppur piccolo successo probabilmente lo debbo a questa scelta.

Non ho ancora cominciato a leggere il grosso volume, ne ho letto la presentazione e l’indice, ma conosco abbastanza bene questo psicologo-psichiatra, uno tra i professionisti più noti ed affermati nel nostro Paese, perché da anni seguo una rubrica quanto mai interessante che Andreoli tiene sul quotidiano cattolico “Avvenire”.

Andreoli che si dichiara, pur con grande umiltà ed onestà, non credente, per molti versi assomiglia al nostro sindaco Cacciari: si sente che è quanto mai interessato, non solo dal lato professionale, alla figura e alla Testimonianza del prete. Io condivido fino in fondo l’interesse di Andreoli per il prete, ho letto tutto quanto la narrativa e la saggistica hanno scritto sulla figura e la missione dell’uomo di chiesa. Ma, a differenza di Andreoli, io sono estremamente più esigente e più duro nel condannare meschinità, mestiere, superficialità e quant’altro. Credo che l’appartenere alla categoria me lo permetta, anzi me lo imponga.

Ho cominciato col leggere il capitolo che Andreoli dedica al “prete del cimitero” perché mi riguarda in maniera diretta, ma leggerò con altrettanta attenzione tutto il resto.

Aspettando le “vecchine”, prezioso tesoro per ogni chiesa

Qualche giorno fa il Vangelo mi ha giustamente costretto a riflettere sulla profetessa Anna, quella “Betta dalla lingua schietta” che, incontrando la Madonna nel tempio, in occasione della sua purificazione e della presentazione di Gesù, le predisse che fare la mamma in maniera seria è un “mestiere” faticoso, difficile e talvolta anche ricco di amarezze.

La Madonna accettò la lezione e la mise in pratica, tanto che rimproverò Gesù per il fatto che si era fermato a Gerusalemme per discutere con i dottori nel tempio ed infatti, dopo la reprimenda “perché hai fatto questo? tuo padre ed io ti abbiamo cercato”, Gesù – ci informa il Vangelo – “cresceva e si fortificava in età, sapienza e grazia”.

Tutto serve nella vita, se è accettato con intelligenza, umiltà e buona volontà.

Il discorso su Anna mi ha fatto venire in mente un pezzo di Bergellini, l’intellettuale fiorentino che con penna felicissima, sorniona ed intelligente, dedica una bellissima pagina alle “vecchine” che bazzicano molto di sovente in ogni chiesa. Non possiamo concedere sempre l’aureola a tutte queste vecchine, perché qualche pettegolezzo, qualche “manietta” ce l’hanno anche loro, ma è pur vero che danno respiro e cuore alle sacre mura solenni del tempio e rimangono testimoni di una fede convinta e di antichi valori cristiani.

Io non ho la fortuna di avere queste vecchine, nella cappella ottocentesca perché è troppo piccola e tanto fredda, nella prefabbricata perché è troppo nuova per ospitare nonne che hanno bisogno di tempo per mettere radici.

Non è vero che non ho “vecchine” in assoluto, in verità ne ho troppo poche perché diventino il cuore e le labbra della nuova chiesa “Santa Maria della Consolazione”. Ma in futuro chissà!

Non faccio distinzioni politiche quando si tratta di far del bene!

Qualche giorno fa mi ha telefonato un signore di Marghera per offrirmi delle arance. Al Don Vecchi possediamo volontari, mezzi e volontà di recuperare ogni cosa per i poveri. Dissi immediatamente di si. Il signore però volle raccontarmi la genesi di questo dono, alludendo alle informazioni della stampa. Purtroppo la suora, nei giorni peggiori del maltempo, non era uscita verso le 5,30 per portarmi le notizie “fresche” di giornata, per cui non ero al corrente dell’iniziativa.

Il signore mi raccontò, con un certo malcelato orgoglio, che il suo partito “Rifondazione Comunista” aveva fatto arrivare dalla Sicilia una certa quantità di arance da vendere per dare il ricavato ai numerosi operai che a Marghera stanno lottando, purtroppo inutilmente, per non perdere il posto di lavoro. Nel passato verdi e rossi, forse in maniera giusta, ma imprudente, hanno tirato troppo la corda e così hanno accelerato lo smantellamento del polo industriale di Marghera.

Comunque non tutte le arance erano andate vendute, motivo per cui questo signore, che probabilmente conosce il Centro Don Vecchi di Marghera, si è rivolto a noi perché ne beneficiassero dei “poveri” diversi da quelli in lotta in fabbrica.

Nella cordiale conversazione telefonica è emerso un antico “peccato originale” non ancora rimesso col “battesimo”. «Sa, don Armando, anche se noi siamo sulla sponda opposta alla vostra, anche noi apprezziamo quanto sta facendo per i vecchi».

Lo bloccai immediatamente: «Quando si tratta di aiutare i poveri io da sempre mi trovo sulla sponda di quelli che tentano di farlo. Sono con voi per i vecchi, come lo sono per gli operai delle fabbriche di Marghera».

Non l’ho chiesto, ma non avrei nessuna pregiudiziale nell’accettare una tessera del Partito Radicale, se questo significasse impegnarci a fondo per una solidarietà concreta e reale. Come accetterei anche quella del P.D.L. se mi dimostrassero che sono più buoni e generosi nell’aiutare i poveri.

Educazione di ieri e di oggi, generazioni di ieri e di oggi…

Mi parrebbe di fare un torto alla “profetessa Anna”, la vecchia vedova ottantatreenne che, dopo la morte del marito, con cui aveva vissuto otto anni, passava tutto il tempo in “digiuni e preghiere”, così la descrive il Vangelo. Il discorso di Anna alla Vergine, un po’ amaro, un po’ lusinghiero, pur essendo onesto e realistico, non fu troppo incoraggiante. Comunque credo che Maria ne abbia tenuto conto e si sia preparata a stringere i denti nei momenti difficili e a rivolgersi con fiducia al Signore.

Se i vecchi in genere, e in particolare i genitori, preti ed educatori parlassero con più franchezza ed onestà ai giovani, forse li aiuterebbero ad essere più agguerriti e più resistenti nei momenti delle difficoltà.

Le nuove generazioni, che non hanno sofferto i disagi della guerra e della miseria e che “hanno avuto tutto”, come dice la gente, sono indifese, fragili, disorientate di fronte alle prove e troppo spesso fuggono, si disperano, falliscono e s’arrendono.

Anna è forse troppo dura quando predice che la spada trapasserà il cuore a Maria, comunque il risultato è stato quanto mai positivo.

L’inno sacro descrive così Maria sotto il patibolo del figlio : “Stabat mater dolorosa!”. Quanta dignità, quanto coraggio, quanta forza interiore. Tutto questo può nascere solamente quando gli educatori sono onesti e coraggiosi, cosa che pare quasi scomparsa dalla scena del nostro mondo. Insegnanti, preti, giudici, educatori, politici, per aver consenso a poco prezzo e per non aver noie, favoriscono con la loro ignavia il crescere di una generazione di bulli, di debosciati, di bamboccioni, drogati.

Non so se nei collegi inglesi si adoperi ancora la verga, comunque da noi dovrebbe essere introdotta per legge.

Quando io frequentavo le elementari, le mamme portavano alla maestra dei rami freschi d’albero perché, se era il caso, punissero i loro figli. Queste mamme hanno cresciuto uomini. Ora, che per una parola poco dolce, le mamme ricorrono ai giudici, sta crescendo una generazione di ribelli e di violenti.

Se solo tutti i mestrini si lasciassero coinvolgere dall’utopia della città solidale!

Quant’è difficile proporre valori positivi! Ormai da molti anni sento il dovere di promuovere ad ogni costo la solidarietà come valore che può rendere più vivibile e civile la vita a livello cittadino. Faccio una gran fatica a comprendere ed accettare che chi dispone di mezzi economici più o meno considerevoli non senta, prima che il dovere, il bisogno di aiutare chi è in difficoltà, specie se è anziano e quindi non è più in grado di puntare all’autosufficienza.

In questi giorni sono intervenuto presso i mass-media della città perché mi aiutino a collocare “le azioni della Fondazione Carpinetum”. In fondo non si tratta che di raggranellare solamente due milioni di euro! Per una città come la nostra questo obiettivo è ben modesto, eppure son certo che dovrò sudare sette camicie per recuperare questa somma.

Il problema più grave non è poi tanto questo, quanto la messa in moto di una mentalità solidale, ossia la mentalità di far proprio un meccanismo per il quale ognuno fa quel che può, o riesce, per aiutare chi è in maggior difficoltà. Dove questo meccanismo funziona, veramente fioriscono “miracoli” veri e propri.

Le due associazioni di volontariato che operano al Don Vecchi e si ispirano a questa dottrina, in qualche modo “costringono” i concittadini ad entrare in questa catena solidale. Centinaia, migliaia di persone indigenti ogni giorno ritirano vestiti, coperte, bigiotteria, mobili, “pagando” prezzi pressoché simbolici e sempre alla loro portata. Centinaia di volontari offrono gratis qualche ora alla settimana, senza faticare più di tanto, arrivando così a recuperare cifre notevoli (più di duecentomila euro a fine dicembre), con le quali contribuiscono a creare 60 nuovi alloggi per anziani poveri.

I mestrini più poveri stanno realizzando questo “miracolo”; se a questo sistema di solidarietà si unissero anche i cittadini più abbienti, più intelligenti, professionalmente più preparati, potremmo offrire alla città servizi di prim’ordine beneficiando i più poveri e gratificando i più ricchi.

Il problema rimane però quello di convincere tutti a lasciarsi coinvolgere dall’utopia della città solidale. Splendida utopia, che però ha bisogno della “fede” per essere intrapresa.

Solo ora, Signore, comincio a capire il Tuo messaggio…

La liturgia della Chiesa ha sdoppiato, negli ultimi giorni del 2009, il brano del Vangelo che narra la presentazione di Gesù al tempio e la purificazione di Maria. Leggo sempre molto volentieri questo brano che la Chiesa ha scelto, il 2 febbraio, per la celebrazione di questo dolce e significativo mistero.

Questa celebrazione mi ha sempre dato la sensazione di una timida apertura alla primavera e rinnova nel mio spirito ricordi dolcissimi di splendidi incontri religiosi: la chiesa gremita di fedeli, i canti accorati del coro, la fila interminabile di chierichetti, la marea di luci tremule e i lumi consegnati ai fedeli per accenderli nei momenti difficili, la fede che illumina, rasserena e conforta.

Quest’oggi, nella breve riflessione, mi sono soffermato sul cantico del vecchio Simeone, il “Nunc dimittis”: “Ora, Signore, mi puoi lasciar andare in pace perché i miei occhi hanno finalmente scoperto il Salvatore”.

Mi è venuto spontaneo chiedermi se avessi potuto anch’io pronunciare quelle confortanti parole. Ma subito mi è venuto da pensare: «Signore, mi pare di aver bisogno ancora di un po’ di tempo perché sto cominciando solo ora a fare le scoperte religiose più affascinanti. Solo ora, Signore, comincio a capire il Tuo messaggio e riesco pian piano a comprendere la bellezza, la validità del Tuo Vangelo. Infatti, man mano mi inoltro nella strada che Tu mi indichi, lascio alle mie spalle una religiosità formale e mi appoggio appena leggermente alle formule e ai riti per cogliere l’essenziale della Tua proposta negli incontri quotidiani, nei rapporti con l’uomo, nella vita e nella storia. Quante volte mi vien da dire con sant’Agostino “Tardi, Signore, Ti ho scoperto, tardi Ti ho amato”.

Se è possibile, Signore, dammi ancora un po’ di tempo perché possa passare dalla religiosità rituale a quella esistenziale, che è quella vera, quella che sta inebriando il tempo della mia vecchiaia! Comunque, Signore, si faccia, non la mia, ma la Tua volontà!»

L’insopportabile razzismo fomentato da certi movimenti produce rovi e spine!

Arrossisco, ma debbo confessare che ieri pomeriggio ho preso una solenne arrabbiatura. Mi ha telefonato una signora presentandosi con un cognome quanto mai diffuso nella zona. Ha cominciato col complimentarsi per quanto vado facendo per i vecchi e i poveri in genere, proseguendo però col dirmi che non è giusto che doniamo i generi alimentari a persone che li buttano nei cassonetti della spazzatura e che comunque non li meritano perché percepiscono un regolare stipendio.

Le risposi che non mi meravigliavo che sulle 2400 persone che assistiamo ci potesse essere qualche comportamento indegno o qualcuno che ci imbroglia. E’ un fatto fisiologico che ci sia una piccola frangia di persone che si approfittano. Continuai dicendo che il responsabile è una persona quanto mai pignola e che tiene la documentazione dell’assegnatario di ogni tessera, attenendosi con scrupolo ai parametri che assieme abbiamo fissato per concedere i viveri. Comunque le assicurai che siamo aperti ad ogni tipo di collaborazione, quindi, se avesse avuto qualche elemento utile relativo a una determinata persona, avremmo provveduto a ritirare immediatamente la tessera. Io insistevo perché lei ci fornisse le informazioni necessarie, mentre lei, incurante, ribadiva la presunta ingiustizia.

Pian piano finii per capire che si trattava di una sua badante, che probabilmente lei pagava poco o in nero, ma che, nonostante questo, avrebbe dovuto essere trattata da noi come un sotto prodotto umano. La semina razzista, da parte di movimenti che cavalcano sentimenti istintivi e meschini raccogliendo consensi elettorali, sta producendo rovi e spine.

Finii per accalorarmi e per non sopportare ulteriormente queste forme incivili, troncando la conversazione. Mi dispiace, però credo che dobbiamo bollare come si merita ogni forma di sfruttamento e di malcelata superiorità razziale nei riguardi delle nazioni povere del mondo.