Da “L’INCONTRO” – 13 maggio 2018
settimanale della Fondazione Carpinetum
Nell’editoriale di questa settimana il coordinatore del periodico Alvise Sperandio tenta di aiutare i mestrini a “scoprire” che Mestre ha pure il suo verde, magari periferico, e questo lo si deve alle precedenti amministrazioni che hanno piantato verde “in spem contra spem”.
Interessante pure l’intervento di mons. Bonini che tenta di aiutare i mestrini a conoscere un po’ di più la civiltà e la religione dei musulmani che ormai son tanto numerosi anche da noi.
Infine invito a leggere gli interventi di don Sandro Vigani che è un attento osservatore degli usi e costumi della nostra gente e che spesso illustra il “passato prossimo” ancora presente a Mestre.
don Armando
L’analisi
Mestre città verde
di Alvise Sperandio
Dai piccoli giardini di quartiere ai parchi e fino al grande bosco le alternative non mancano Tante possibilità per trascorrere del tempo all’aria aperta a stretto contatto con la natura
Il bosco
Che Mestre sia solo cemento e brutture edilizie è un pregiudizio che pesa come un macigno e continua a incidere sulla considerazione di cui gode la città. Quello che è successo con il famigerato sacco urbanistico è noto a tutti, ma forse non tutti sanno che molto negli ultimi decenni è cambiato, con numerosi investimenti pubblici per dotare la città di aree verdi. Il più importante riguarda il bosco di Mestre, nato a metà degli anni Ottanta dall’intuizione del compianto prosindaco Gaetano Zorzetto, fautore di quella Mestre bella che poco per volta si riscatta dagli obbrobri del passato. Il bosco si articola in 230 ettari suddivisi in quattro macro-aree: Carpenedo, Osellino, Campalto e superfici ex Fondazione Querini, a loro volta distinte nel bosco Ottolenghi, di Franca e di Zaher.
Tutte aree da visitare tra percorsi pedonali e ciclabili, passerelle e spazi di sosta, godendo della flora, dei prati e delle zone umide, che si possono scoprire e conoscere anche grazie alla cartellonistica didattica. In ballo, ora, pare ci sia il progetto di un grande orto botanico che sarebbe al centro di un investimento privato.
I parchi
Tra il 1975 e l’80 è nato il parco della Bissuola, un grande polmone da 33 ettari che ha segnato una pagina storica per la città. Fino a quel momento a Mestre non esisteva un parco in senso proprio, ampio e con funzioni diversificate, dove la cittadinanza potesse incontrarsi. L’8 maggio 2004 è stato inaugurato il parco di San Giuliano (foto), 74 ettari affacciati sulla laguna che da un lato simboleggiano il recupero di un ambiente che, dopo essere stato la “spiaggia” di Mestre, era divenuto una discarica; dall’altro segnano il ritorno alla natura anfibia della città che ha sempre avuto un rapporto speciale con l’acqua, testimoniato dalla presenza del canal Salso e dell’Osel-lino che ne solcano il territorio. Un altro importante parco è quello del Piraghetto, tra la Miranese e via Piave: dopo aver patito problemi di degrado, oggi vive una stagione di rilancio grazie allo straordinario lavoro di riqualificazione condotto dai cittadini radunatisi nell’associazione “Viva Piraghetto”. Ci sono, inoltre, altri parchi più piccoli, come l’Hayez alla Cipressina e il Rodari di Chirignago e, a Carpenedo, villa Franchin e villa Tivan.
I forti e i giardini
Altri luoghi verdi da scoprire sono i forti, i 12 bastioni dell’ex campo trincerato per la difesa di Venezia che al valore storico e culturale uniscono un’importante rilevanza naturalistica. Quello principale e più antico è il forte Marghera (di cui scrive Sergio Barizza a pag. 12). A fine Ottocento nacquero forte Gazzera, Carpenedo, Manin e Tron. Vengono, invece, definiti di ultima generazione forte Bazzera, Cosenz (della Regione), Mezzacapo, Pepe, Rossarol, Sirtori e Poerio (questi ultimi due sono fuori del territorio del Comune di Venezia). In città, poi, i giardini pubblici sono numerosi e anche di grandi dimensioni come, ad esempio, quello di via San Pio X. Alcuni, purtroppo, soffrono gravi problemi di degrado come in villa Querini, via Antonio Da Mestre, via Piave e piazzale Bainsizza. A Carpenedo ci sono quelli della Rotonda Garibaldi e di viale Don Sturzo. Insomma, non è vero che Mestre non è una città verde, anche se resta immutato nel tempo il grande rimpianto legato alla distruzione di parco Ponci, in pieno centro, sacrificato in una sola notte sull’altare dello sviluppo e del sacco urbanistico.
Il punto di vista
Il Ramadan
di don Fausto Bonini
Il 16 maggio inizia il mese di digiuno che i musulmani osservano ogni anno in primavera. Una pratica fondamentale anche per gli ebrei e i cristiani ma con sostanziali differenze
Il quarto pilastro dell’Islam
Fra qualche giorno inizia per i musulmani il mese di Ramadan dedicato alla pratica del digiuno. Siccome il calendario musulmano è lunare e quindi diverso dal nostro calendario solare, l’inizio del mese di Ramadan retrocede di anno in anno di una decina di giorni. Quest’anno inizia il 16 maggio, il giorno successivo alla notte di luna piena, e finisce il 14 giugno, il giorno successivo alla notte di luna piena di giugno. Ramadan è il nome del nono mese durante il quale, secondo la tradizione musulmana, è stato rivelato a Maometto il Corano. Per questo è un mese consacrato al digiuno e costituisce il quarto dei cinque pilastri dell’islam. Durante tutto questo mese, dall’alba al tramonto, i musulmani si astengono dal consumo di cibi e bevande, dal fumare e dalla pratica di attività sessuali. I fedeli sono anche invitati ad astenersi da atteggiamenti peccaminosi come, ad esempio, peccati di parola (insulti, bestemmie, ecc.) e azioni violente.
Le prescrizioni del Corano
Ecco che cosa prescrive il Corano: “Nel mese di Ramadan – mese in cui fu rivelato il Corano come guida degli uomini – chi di voi vede la luna piena, digiuni; chi è malato o in viaggio digiuni più tardi per altrettanti giorni… Nella notte del digiuno vi è permesso di accostarvi alle vostre donne. Esse sono una veste per voi e voi una veste per loro…. Accostatevi dunque ad esse e cercate pure ciò che Allah vi ha destinato. Mangiate e bevete fino all’alba, quando potrete distinguere il filo bianco dal filo nero; poi fate digiuno completo fino alla notte e non accostatevi alle vostre donne, ma ritiratevi nelle moschee a pregare. Questi sono i limiti fissati da Allah: non superateli!” (sura 2, 185-187). Il motivo del digiuno dei musulmani è sostanzialmente l’autocontrollo oltre che la celebrazione del ricordo del dono della parola di Allah a Maometto. I musulmani ritengono che attraverso questa pratica l’uomo venga liberato dai vincoli delle voglie corporali e impari a vincere le tentazioni e ad aprirsi al prossimo con l’elemosina.
Il digiuno nelle altre religioni monoteiste
Come l’islam, anche le altre due religioni monoteistiche, ebraismo e cristianesimo, ritengono fondamentale la pratica del digiuno. Gli ebrei lo praticano in vari periodi dell’anno e consiste nell’astenersi dal cibo e dalle bevande (acqua compresa) e dai rapporti sessuali come segno di pentimento per i peccati e di ritorno a Dio. Il digiuno dello Yom Kippur, che cade il prossimo 19 settembre, è il più importante. Questa pratica non trova riscontro nella comunità cristiana attuale, tenuta al digiuno soltanto il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì santo, ma ricorda invece la severità della Quaresima dei primi tempi della Chiesa e la dura penitenza dei Padri del deserto. Gli ebrei e i musulmani invece sono rimasti fedeli alla lettera del testo sacro e anche oggi praticano con scrupolo l’obbligo del digiuno in situazioni di grave disagio soprattutto quando devono svolgere lavori pesanti e faticosi durante il giorno.
Tradizioni popolari
Maggio, le rose e Maria
di don Sandro Vigani
Quand’ero ragazzino nel mese di maggio ci si radunava verso sera, vecchi, adulti e bambini, attorno ai capitelli, numerosi in campagna, per il fioretto. I capitelli erano ornati dei fiori che la Primavera ormai offriva abbondanti. Riassaporo, nel ricordo, il profumo delle rose e le armonie dei canti che appartenevano al popolo cristiano da generazioni: “Nome dolcissimo”, “È l’ora che pia”, “Andrò a vederla un dì”. La donna più anziana intonava il Rosario e, ad uno ad uno, i grani della coroncina scivolavano tra le nostre dita.
A noi bambini non pesava, allora, questo momento di preghiera, anche perché alla fine c’era quasi sempre un premio in dolci o caramelle perché “eravamo stati buoni”. Alla conclusione del mese, dai capitelli a guardia dei campi, si snodavano le processioni fino alla chiesa parrocchiale che a volte distava anche due-tre chilometri e dove si concludeva solennemente il mese dedicato a Maria.
Un tripudio di rose ornavano l’altare della Madonna. In alcuni paesi in quell’occasione si portava in processione la statua della Vergine, sostenuta dalle braccia dei giovani o, in alcuni casi, delle donne, per la piazza o la via principale del paese, spargendo davanti ad essa i petali di rosa, come nel giorno del Corpus Domini. La tradizione antica di dedicare a Maria il mese di maggio non ha una precisa data di nascita. Maggio è il mese delle rose: un tempo questo bel fiore fioriva solo in questo periodo, poiché non erano ancora stati importati dall’Oriente quegli innesti che ne avrebbero garantito la rifioritura, il legame tra le rose e il Rosario è evidente già nel nome. Rosario deriva dalla parola latina rosarìum che vuol dire roseto.
La corona del Rosario simboleggia una ghirlanda. 1 grani della corona, che indicano la preghiera dell’Ave Maria, sono le rose che il cristiano offre alla Vergine: il Rosario è la ghirlanda di rose fatte di preghiere che la Chiesa offre a Maria. Qualcosa di molto simile al fioretto venne promosso a Roma da San Filippo Neri (+1596) che invitava i suoi ragazzi a compiere ossequi a Maria nel mese di maggio, ornando di fiori le sue immagini, pregando e impegnandosi in atti di mortificazione. Nel 1725 il gesuita Annibale Dionisi pubblicava a Parma, con lo pseudonimo di Mariano Partenio “Il Mese di Maria, o sia il mese di maggio consacrato a Maria con l’esercizio di vari fiori di virtù proposti a’ veri devoti di lei”, indicando una pratica già in uso nei collegi dei Gesuiti: nel libro ogni sera venivano suggerite una meditazione, un esempio, un fioretto.
Dopo il Vaticano II questa tradizione antica, assieme a tante altre, attraversò un momento di declino, quasi che il Concilio avesse guardato la religiosità popolare con sospetto.
Negli ultimi decenni è stata finalmente riscoperta dalle comunità cristiane, a volte reinterpretata, a volte riproposta con le stesse modalità di un tempo. Essa oggi è rivolta soprattutto ai bambini, ma non soltanto. In alcune comunità di paese si usa ancora pregare il Rosario nel mese di maggio di casa in casa, di via in via, attorno ai vecchi capitelli o portando una statua della Vergine oggetto di particolare devozione dalla chiesa parrocchiale di strada in strada. Caratteristica fondamentale della preghiera di maggio è il fioretto, dal quale la preghiera prende il nome: il piccolo impegno che ciascuno è chiamato ad assumersi ogni giorno per crescere nella fede e nell’amore ai fratelli. In Oriente, tra gli ortodossi, la pietà mariana è molto viva, ma il mese mariano è agosto, nel quale si celebra l’Assunzione.