Domenica 11 settembre è scoppiata una piccola “bomba” nella chiesa veneziana; don Marco Scarpa già mio cappellano nella parrocchia di Carpenedo, alla fine della messa celebrata nella sua parrocchia di San Pantalon della quale era parroco, ha comunicato ai suoi fedeli e alla Chiesa veneziana che da quel momento smetteva di fare il prete.
Don Marco ha inquadrato la sua scelta con l’armamentario proprio del politichese cattolico, rinnovando il suo affetto per i fedeli e colleghi, ha chiesto scusa ed ha promesso preghiere per tutti, finendo col dire che continuerà ad essere cristiano anche se con modalità diverse di quelle usate finora.
Il modo con cui don Marco ha presentato la sua scelta gli ha accattivato un largo consenso nell’opinione pubblica locale, quasi che la gente riconoscesse nella sua scelta non il venir meno l’impegno preso in maniera solenne ma una decisione di una persona onesta, corretta e credibile e quindi meritevole di encomio.
Un mio amico de “Il Gazzettino”, il signor Fenzo, conoscendomi come la “Betta dalla lingua schietta” mi ha chiesto con tanto garbo un’opinione; gli risposi che da un lato la cosa non mi sorprendeva più di tanto perché già da un paio d’anni m’erano giunte voci da parte di un mio collega più informato sulle vicende del clero veneziano. Comunque sono profondamente convinto che sempre si devono rispettare le scelte o i drammi personali, nostro Signore ci ha chiesto di non giudicare sapendo quanto sia difficile entrare nell’intimo della psiche umana.
Ne mi ha sorpreso la reazione positiva e quasi entusiasta da parte di qualcuno, a motivo che il processo di secolarizzazione è quanto mai avanzato e il superamento della sensibilità religiosa della tradizione è mutato ancor di più, nonostante che la prassi religiosa in pratica è ancora molto ancorata a questo passato ed è quanto mai lenta ad evolvere in rapporto alla sensibilità e la cultura del nostro tempo.
Confesso però che di istinto sono andato a ricordare un bel film di 30-40 anni fa, il cui protagonista era un celeberrimo attore francese e il cui titolo era: “Lo spretato”. La presentazione, la cornice, l’opinione pubblica d’allora era diametralmente opposta a quella attuale e si rifaceva ad una atmosfera di tradimento, di sconfitta e di fallimento.
Tanto che lo “spretato”, uscendo in strada, dopo una notte passata in un locale notturno, dice allo spazzino che scopava foglie secche e cartaccia: “Tu non raccogli rifiuti d’uomo?” Così era pressappoco stimato allora il prete che appendeva la tonaca al chiodo.
Io, ben s’intende, sono con le reazioni fatte in calle dalle donne e dagli uomini di Venezia, pur adoperando toni meno entusiasti, perché, dalla frequentazione, di sacerdoti che hanno lasciato conosco il dramma, perciò che hanno lasciato, perché in ogni modo a parer mio si tratta di una sconfitta, anche se oggi, influenzati da un laicismo strisciante, spesso la si definisce come una vittoria, una liberazione ed una scelta di onestà.
Non è però di questo che volevo parlare, ma approfitto della mia età, quasi di novantanni, che mi garantisce il disinteresse personale su queste vicende per dire la mia sul problema del celibato dei preti, che non è proprio un problema marginale nella vita della chiesa.
Il mio contributo discreto, rispettoso, ma convinto vuole essere un piccolo apporto per affrontare con più decisione un ansioso problema che pare appeso sulle nuvole e si teme che provochi un cataclisma qualora lo si calasse a terra.
Io sono del parere che prima o dopo la loro consacrazione i preti possono rimanere liberi nelle loro scelte di rimanere celebi o sposarsi.
Mi pare bello, affascinante ed opportuno che nella chiesa vi siano creature che facciano la scelta di dedicarsi “corpo ed anima” alla chiesa e ai fedeli da celibi.
Però penso pure che non vi sia motivo di alcun genere anche se chi sceglie di fare il prete lo faccia pure da coniugato.
Tutte le motivazioni contro questa tesi mi sembrano antistoriche e non religiose.
A questo aggiungo pure con estrema franchezza che ritengo che è giunto il tempo che pure le donne nubili o coniugate possono fare la scelta di servire Dio e il prossimo all’interno della comunità cristiana esercitando il ministero sacerdotale; gli argomenti contro sono per me futili, arretrati, e minimamente religiosi.
Queste scelte cambieranno la situazione precaria e preoccupante delle nostre parrocchie, creeranno discussioni e scontri, ma mi pare che questo non sia un problema. La legge della vita non è staticità ma evoluzione! Termino dicendo che se i discepoli di Gesù si ostinano a proporre il mistero cristiano con la modalità del passato finiscono per soffocarlo e tradirlo! Aggiungo in fondo che non credo che queste cose si debbono fare per trarre vantaggio e avere più fedeli nelle nostre chiese, anzi sono convinto che saranno indifferenti, vedi la situazione delle chiese protestanti, che queste riforme le hanno fatte da secoli però hanno un numero di fedeli come noi e forse meno di noi.
Queste scelte religiose vanno fatte solamente perché questa è la regola della vita che rimarrà tale perché Dio l’ha voluta cosi.
Queste sono le mie opinioni personali, però ritengo che sia l’intero corpo ecclesiale con i suoi responsabili a dover prendere le decisioni riflettendo sulla Parola del Signore e pregando lo Spirito Santo. Io mi voglio attenere alle scelte della Chiesa con fede, amore ed umiltà.
Gli incidenti di percorso ci sono sempre stati, credo che si debbono affrontare con rispetto, fraternità e preghiera non rompendo comunque mai la comunione anzi rendendola più forte e più vera.