Ristorante Serenissima: cena ad un euro, perché ho chiuso

La stampa e la televisione ne hanno parlato talmente tanto del mio progetto di offrire un pranzo ad un euro per i concittadini in disagio economico e che soffrono in silenzio e con dignità la loro difficoltà che mi pare quasi superfluo ritornare sull’argomento, però sento il bisogno di chiarire qualche aspetto su questo progetto non riuscito. È da una vita che mi occupo dei poveri, perché, lo ripeto ancora una volta, a mio parere è aria fritta la vita religiosa e la fede se non diventano carità.

A riprova di questa affermazione ricordo il mio impegno per la San Vincenzo della nostra città, l’apertura di Ca’ Letizia con i suoi servizi di mensa serale, di fornitura di vestiti, delle docce, del barbiere, le vacanze degli anziani e gli adolescenti, il caldo Natale. Il mensile “Il Prossimo”, poi a Carpenedo l’apertura de “Il Rtrovo” per gli anziani, di Villa Flangini per le vacanze degli anziani poveri, del gruppo “Il Mughetto” per i disabili, del gruppo San Camillo per gli ammalati, poi i cinque Centri don Vecchi con i relativi 400 alloggi per anziani autosufficienti in difficoltà economiche, infine: Il Polo Solidale del don Vecchi con i suoi magazzini per vestiti, mobili, arredo per la casa, Banco di distribuzione di generi alimentari, il chiosco per la frutta e verdura, lo spaccio alimentare per la distribuzione degli alimentari in scadenza. Ciò premesso, nonostante i miei quasi 90 anni, non ho perso la voglia e sento ancora il dovere di farmi prossimo nei riguardi di chi è in difficoltà. Quindi, essendomi presentata l’occasione di raggiungere un tassello di questo curriculum, durato una vita, l’ho colto al volo. Le cose sono andate così: avendo letto su Avvenire che il manager della ristorazione in Milano, signor Pellegrini, offre mille pasti a sera ad un euro per i poveri, il mio angelo custode mi ha subito suggerito: “Perché non chiedi al catering Serenissima Ristorazione che fornisce i pasti ai residenti dei cinque Centri?” Avendo anche sentito dire che il signor Mario Putin, che è il fondatore e presidente di questa grande società di Vicenza, fornisce in Europa 200.000 pasti al giorno, perché non chiedergli un centinaio di cene al giorno? Il mio angelo custode è quanto mai intelligente e buono, e quindi una volta tanto gli ho dato ascolto. Non ci pensai un giorno e feci la richiesta a questo signore, che fino il giorno prima neppure sapevo che esistesse. A giro di posta mi giunse la risposta che avrebbe mandato Tommaso, uno dei suoi figli, per vedere cosa si poteva fare. Dopo pochi giorni giunse questo figlio di Putin, che cura la parte economica dell’azienda, e forse, vedendo il Centro don Vecchi ha capito che siamo persone serie e ci ha dato là su due piedi il via all’operazione. Il proseguo della vicenda lo conoscono un po’ tutti, perché demmo vita ad un battage pubblicitario tanto che mezza Italia ne è venuta a conoscenza.

Le testate televisive e giornalistiche andarono a gara per pubblicizzare questa insolita iniziativa benefica. Chiesi aiuto ai due miei vecchi collaboratori Graziella e Rolando Candiani, domandai il permesso alla Fondazione Carpinetum di utilizzare la sala da pranzo del Don Vecchi che alla sera era libera, in poco tempo abbiamo reclutato 60 volontari come camerieri ed organizzato al meglio l’iniziativa. Ci siamo messi in contatto con tutte le componenti cittadine che ritenevamo avessero sensibilità e conoscenza del settore del disagio sociale: i parroci, la San Vincenzo, la Caritas, la municipalità, l’apparato della sicurezza sociale, illustrando nei dettagli il progetto. Non volevo in maniera assoluta creare una nuova mensa per i poveri perché a Mestre ce ne sono già quattro: Ca’ Letizia, i frati cappuccini, la parrocchia di Altobello e la mensa Papa Francesco di Marghera. Queste mense funzionano benissimo, sono dignitose e soprattutto sono più che sufficienti per rispondere ad un tipo di povertà, che si rifà alla mendicità cronica, al disagio sociale, alla mancanza di tetto ed altro ancora. Con queste mense sono in contatto costante, tanto che ogni qualvolta abbiamo degli esuberi di alimenti li mandiamo ad esse. Quindi l’aspetto specifico ed innovativo della nostra iniziativa era quello di intercettare ed aiutare quelle persone, che per i motivi più disparati quali: disoccupazione, mobilità, malattia, famiglia monoreddito, o pensione insufficiente, pur decise di reinserirsi nel tessuto sociale normale, passavano un momento di difficoltà e che per educazione e dignità non bussano mai alle porte del Comune, delle canoniche o di suddette mense per i poveri. Questo discorso lo abbiamo fatto a chiare lettere alla stampa, alla televisione e a tutti i collaboratori sociali che abbiamo interessato con ogni mezzo attraverso comunicati stampa, lettere e telefonate.

Esito? Certamente insufficiente! In tre mesi abbiamo avuto come ospiti abbastanza intermittenti una cinquantina di persone, raccogliticce, che spesso avendo appreso dalla stampa l’iniziativa ed avendo scoperto che l’ambiente è bello, che si mangiava bene, però pareva non avessero alcuna voglia di superare il momento di disagio per reinserirsi normalmente nella società. Fare una diagnosi di questa situazione mi è alquanto difficile: o non ci sono poveri di questo tipo? O non c’è stata collaborazione sufficiente da parte degli operatori sociali: parrocchie, assistenti sociali, associazioni specifiche del settore? O io sono inviso da queste realtà, o le persone bisognose di questo tipo non riescono ad uscire allo scoperto e superare il disagio d’aver bisogno degli altri, oppure c’è un po’ di tutto questo! Comunque tutto ciò non mi permetteva moralmente di caricare di un onere consistente il benefattore che si è dimostrato tanto generoso senza che ci fosse un risultato tale da giustificare l’impegno finanziario, quello delle spese e del disagio del Centro e quello di tutti i collaboratori che hanno generosamente messo a disposizione il loro tempo, sottraendolo ai loro impegni. Siccome io non sono un uomo per tutte le stagioni soprattutto considero come mia unica padrona di casa la mia coscienza, avendo la sensazione di non aver raggiunto lo scopo del progetto che avevo sognato ho deciso di chiudere.

Ho piena coscienza di aver deluso e scontentato un po’ tutti: i signori Candiani, tanto generosamente una volta ancora a disposizione, i volontari, la Fondazione, il Comune, l’opinione pubblica e soprattutto il gruppo di utenti. Questo mi dispiace veramente, ma mi sarebbe dispiaciuto ancora di più fare qualcosa che per me non era del tutto morale.

Aggiungo che ho tentato di trovare una soluzione alternativa per chi aveva trovato comoda la soluzione della cena ad un euro. Per le famiglie ho ottenuto i generi alimentari ogni settimana del Banco Alimentare dell’associazione Carpenedo Solidale e pure i generi alimentari in scadenza dallo spaccio alimentare del don Vecchi, per gli anziani del Centro ho ottenuto il pranzo al prezzo dimezzato di euro2,50 e all’altra decina di utenti ho consigliato le mense dei Cappuccini e della San Vincenzo. Comunque tutte le persone che sono rimaste dispiaciute per la mia decisione possono continuare l’esperienza della cena, io fornisco loro l’indirizzo di chi mi ha generosamente aiutato: per la Fondazione Carpinetum il presidente don Gianni Antoniazzi, via San Donà 2; per il catering Serenissima Ristorazione il signor Mario Putin, via della Scienza 46 Vicenza, telefono 0444.348400.

L’opzione per cui sarei ancora disposto a mettermi in gioco sarebbe quella della fornitura, per asporto, a favore delle famiglie, dopo aver vagliato scrupolosamente la loro situazione. Questo però sarebbe possibile solamente se fosse potenziata la struttura del nostro centro di cottura ed aumentato il personale addetto.

Della scelta mi assumo tutte le responsabilità, e contemporaneamente ringrazio di tutto cuore chi si è messo a disposizione per la riuscita dell’impresa: la Fondazione, il signor Putin della “Serenissima Ristorazione”, i signori Candiani, tutti i volontari e la cuoca che s’è sobbarcata tanto lavoro straordinario perché il progetto andasse a buon fine. Da ultimo confido che ho capito ancor più lucidamente che a novant’anni è meglio che si lascino ai giovani queste “avventure” qualora essi avvertano il dovere di dare concretezza e verifica alla carità cristiana.

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