Annina

Il suo vero nome era Anna Maria ma a lei faceva piacere che la gente la chiamasse Annina, un vezzeggiativo che le risultava particolarmente gradito. Vent’anni fa, quando la incontrai per la prima volta, aveva già visto passare parecchie primavere e forse Annina, quel vezzeggiativo con cui amava essere chiamata, le faceva sentire meno il peso degli anni. La conobbi in cimitero, luogo in cui la grave ferita che faceva sanguinare il suo cuore di mamma per la perdita prematura della sua unica figlia, la conduceva ogni giorno, in maniera irresistibile, a visitarne la tomba. Dalla tomba passare alla chiesa del camposanto, ove trovava parole di rassegnazione e di conforto, il passo è stato assai breve. In poco tempo divenne una fedele assidua tanto da cominciare a far parte di quel piccolo gruppo di “vecchine”, come le chiamava Piero Bargellini, che un tempo erano parte integrante delle nostre chiese come i confessionali, i candelabri o le pile dell’acqua santa.

Ora le diocesi fanno corsi di preparazione per i cosiddetti “ministranti”, cioè chierichetti e assimilati ai sagrestani, da me però il gregge era così ridotto che l’Annina ed altre due colleghe facevano un po’ di tutto: pulire la chiesa, seguire le Messe, preparare l’altare per la liturgia e senza alcuna preparazione dispensare parole buone ai fedeli che il lutto accompagnava nella chiesa del cimitero.

Il mio pensionamento e il ricovero a Cavaso del Tomba di questa mia cara aiutante ci separarono e solamente questo pomeriggio, dopo quindici anni, Annina è ritornata nella chiesa del cimitero perché le dessi l’ultimo saluto e l’ultimo abbraccio caro e affettuoso. La predica è diventata un colloquio e il legno della bara non mi ha impedito di rivederla attenta e felice delle parole calde che mi sono sgorgate dal cuore. Mentre “colloquiavo” con lei mi è tornato alla mente un particolare della sua frequentazione della piccola chiesa del camposanto: era solita ogni giorno cogliere un fiore e porlo tra i chiodi dei piedi del crocifisso e colloquiare con Cristo in tono talora affettuoso e talora imbronciato ma prima di andarsene non mancava mai di salutarlo affettuosamente con un: “Ciao Gesù”. Ora spero che questa centenaria abbia la pazienza di aspettare almeno un po’ questo novantenne per ravvivare la nostra cara amicizia.

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