Scozia docet

O io sono così fragile da lasciarmi suggestionare da certi eventi, o i mass media hanno una tale capacità di suggestionare l’opinione pubblica da rendere importantissimi anche fatti marginali; fatto sta che ho seguito le vicende del referendum tra l’Inghilterra e la Scozia ed ho atteso il risultato con l’ansia con cui avrei seguito un evento che mi riguarda direttamente.

Della Scozia, dei suoi problemi e delle sue vicende conosco ben poco, aldilà delle cornamuse, degli uomini in gonnellino e delle antiche vicende della regina cattolica Maria Stuarda con la relativa decapitazione ordinata da Elisabetta, sua contendente protestante.

Ultimamente mi s’è aggiunta un’altra notizia: pare che nel mare della Scozia vi siano importanti giacimenti di gas e petrolio e perciò gli scozzesi ambiscono di beneficiare da soli dei proventi relativi senza doverli dividere con gli inglesi. Mi pare però che tutto questo non sia sufficiente a giustificare il tifo di un prete ultraottantenne!

La cosa che forse potrebbe essere di qualche mia giustificazione, è la preoccupazione che se la Scozia avesse vinto il referendum, le richieste di autonomia si sarebbero aggiunte a cascata: in Spagna, in Veneto e perfino a Mestre che mal sopporta, ormai da più di mezzo secolo, il “dominio” veneziano.

In questi giorni mi ha colpito un’affermazione del leader scozzese di fronte alle offerte di concessioni che gli inglesi, preoccupati della possibilità di separazione, gli avevano fatto: «Troppo poche e troppo tardi!» Questo discorso, tradotto in italiano, potrebbe essere un monito per il nostro Governo riguardo la richiesta di una maggior autonomia da parte di Zaia, governatore del Veneto, o quella dei promotori del referendum tra Mestre e Venezia e perfino la timida richiesta di autonomia della Chiesa mestrina da quella veneziana. Arriva sempre ad un certo momento il “troppo poco e il troppo tardi!”.

Per quello che riguarda il Veneto, e Mestre in particolare, non mi pare che la richiesta sia così impellente e così grave, ma per quest’ultima dovrebbe far pensare il fatto che questa è la settima volta che Mestre tenta la carta dell’autonomia. Da parte mia non mi pare che si debba battere con violenza la strada della separazione, ma mi parrebbe saggio tenere seriamente conto quella di una maggior autonomia effettiva. Mi pare che sia giunto da un pezzo il tempo di affrontare con pacatezza e con realismo queste richieste che vengono dalla gente.

Sto apprendendo con orrore quanto sia costata all’Ucraina la richiesta di scelte autonome ed ora alla zona nord della stessa nazione, quella parte che è di cultura russa, il desiderio di autonomia.

Non credo che nessuno sia così scervellato e così egoista da voler tornare agli staterelli di un tempo, ma ognuno dovrebbe essere così saggio da permettere che i vari gruppi che hanno cultura, tradizioni ed aspirazioni proprie possano vivere come a loro piace, tentando però di non arrivare a rotture rovinose per tutti.

Per quanto concerne invece il rapporto fra la comunità cristiana di Venezia e quella di Mestre, più che di separazione, si tratterebbe di tener solamente conto della disomogeneità.

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