Il testamento

La Chiesa prescrive ai parroci di far testamento. Nel 1971, quando sono diventato parroco di Carpenedo, il vicario generale della diocesi me l’ha ricordato ed io, da parroco neofita, l’ho fatto, anche se non avevo assolutamente nulla di cui disporre e da lasciare.

Più volte ho scritto delle condizioni di assoluta indigenza in cui mi trovai quando mi chiesero, nei tempi turbolenti della contestazione, di prendere in mano il timone di una comunità che nel settantuno si trovava nell’occhio del ciclone. Ho pure scritto che il giorno dopo l’ingresso in parrocchia una commissione di giovani mi venne a chiedere di sospendere la messa festiva delle dieci per fare un’assemblea pubblica per dibattere i problemi della chiesa.

Il mio trasloco fu quanto mai spartano, caricai le poche e povere masserizie dell’appartamentino della “signorina” Rita, che accettò di diventare la mia governante, sul vecchio furgoncino della San Vincenzo ed arredammo alla meglio un paio di stanze della canonica.

Comunque la curia è più furba di quanto non sembri: mi fece sottoscrivere una polizza con “La Cattolica” per assicurarsi di venire al coperto di eventuali danni al patrimonio che avessi provocato.

Uscito dalla parrocchia una decina di anni fa, dopo 35 anni da parroco, sentii di dover rivedere il mio testamento perché avevo delle responsabilità verso chi mi aveva aiutato e s’era fidato di me. La vita però corre veloce e le situazioni cambiano più velocemente ancora, quindi un paio di giorni fa, pur con qualche disagio, ho tirato fuori la cartellina blu su cui c’è scritto “Testamento”.

Ho riletto il testo, che dieci anni fa ho vergato, con un certo disagio ed una certa trepidazione e ho compreso che, a parte l’introduzione – allora c’era un po’ l’abitudine di fare “un testamento spirituale” – i contenuti erano davvero superati. A quel tempo avevo il progetto del “Samaritano”, la casa per ospitare i famigliari dei degenti dei pazienti dei nostri ospedali, progetto che era soprattutto legato a quello del direttore della ULSS, dottor Padovan, che sognava il Centro Protonico per curare i tumori, ma sopra al quale Zaja aveva messo una pietra tombale (mentre proprio stamattina ho letto che nella regione a statuto speciale di Trento ne è stato inaugurato uno che servirà solamente ai trentini).

Mi avvio verso gli ottantasei anni, di acciacchi ne ho avuto più di uno ed avverto quindi lucidamente che è giunto il tempo di prepararsi per partire. Con questo non è che io voglia mettermi in poltrona, ma desidero lasciare le cose in ordine. Ho quindi riletto il testamento, l’ho adeguato alla nuova situazione e, una volta ancora, ho pensato di aiutare gli anziani in difficoltà. Il nuovo clima della Chiesa, la nuova sensibilità entrata nella coscienza dei cristiani circa il bene e il male, circa quello che ci aspetta, mi hanno rasserenato alquanto per cui ho pensato alle ultime cose con molta serenità.

Scrivo tutto questo perché spero che questa testimonianza di fiducia nel buon Dio possa aiutare anche il mio prossimo.

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