I gemelli

Il mio alloggio è alquanto piccolo e perciò contiene pochi mobili, quindi sono limitate le superfici ove posso mettere oggetti che via via mi vanno regalando. Alle pareti ho una bella collezione di una trentina di icone russe e due tre copie ottocentesche – una della Madonna del Bellini, un’altra molto più grande del Sassoferrato e una piccolina, ma veramente bella, di un pittore inglese del tardo seicento.

Tornando alle superfici, esse sono abbastanza ingombre di ricordi che mi sono cari. Due o tre volte all’anno, soprattutto per sollecitazione di suor Teresa, tento di metter ordine spostando questi soprammobili nei cinque Centri, che considero quasi un prolungamento di casa mia, però vi sono alcuni ritratti dai quali non riesco a staccarmi, tra i quali quello del volto mesto di mia madre, quello invece sorridente di mio padre e quello posto sopra una scarpiera della camera da letto, che ritrae il gruppo dei miei cento chierichetti inquadrati in una semplice cornice d’argento.

Ogni volta che vi passo le do un’occhiata affettuosa, talvolta mando in cielo una preghiera per loro e spesso prendo in mano la cornice, mi metto gli occhiali per rimirare con un’infinita tenerezza e nostalgia quei volti belli ed innocenti. Sono passati più di dieci anni da quando ho collocato sul mobile quella foto e quei volti rimangono per me sempre belli e sorridenti. Penso che se dovessi arrivare a cent’anni quei bimbi non soltanto nel ritratto, ma nella mia memoria, rimarranno sempre cari.

Domenica scorsa però m’è capitato qualcosa che ha quasi rotto (in positivo) l’incanto della foto a me tanto cara. Avevo appena iniziato la messa, quando notai due giovani spilungoni che erano entrati e avevano preso posto in fondo alla chiesa. C’è stato nel mio cuore un certo sussulto. Finita la messa essi sono venuti in sagrestia: Francesco e Marco, due dei cento chierichetti che sono usciti dal ritratto per venire a salutare suor Teresa e me.

Mi portarono sorridenti un “piccolo regalo”: due piccole scatolette rosse. Quando le aprii spuntarono cinque grandi confetti rossi, ciascuno con una strisciolina rossa. “Padova – 16 luglio 2014 – dottor Francesco – laurea magistrale in ingegneria civile”. La seconda scatola, identico il contenuto, identica scritta con la sola variante del nome: c’era scritto “dottor Marco”. I due gemelli che per una vita intera si sono divertiti rispondendo alla mia domanda “Sei Francesco?”, “No, sono Marco” e quando mi rivolgevo a Marco “No, sono Francesco!”.

L’altro ieri i due ingegneri, con tanto di 30 e lode, con l’innocenza di quindici anni fa, ripeterono la cara burletta dello scambio dei nomi.

Sono stato felice ed orgoglioso che dalla bellissima e numerosa nidiata comincino a “volare alto” questi cari ragazzini di ieri che si sono divertiti un mondo nel corridoio degli “intrighi” della sagrestia prima di servir messa.

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