La difficile gestazione dell’ostello S. Benedetto

Sto vivendo un tormentone circa la realizzazione di quello, che finora, abbiamo chiamato “L’ostello S. Benedetto”, per indicare una struttura d’accoglienza per cittadini extracomunitari che vivono a Mestre.

L’idea era partita dalla constatazione delle condizioni, a dir poco disumane, in cui dormono certe persone giunte dai paesi dell’Europa dell’est o dalle coste dell’Africa settentrionale, per cercare migliori condizioni di vita nel nostro Paese.

Specie gli ultimi arrivati che riescono a passare tra le maglie larghe dei nostri interminabili confini, spesso con l’appoggio di parenti o compaesani che vivono da anni in Italia, portano con se un gruzzoletto di denaro che esauriscono ben presto mentre si danno da fare per trovare un qualsiasi impiego. Quasi sempre risolvono il problema dell’alloggio facendosi accogliere nell’appartamento di un conoscente che offre loro un materasso steso per terra per 5 euro alla notte, dividendo i 70 metri dell’alloggio di fortuna con altri dieci-quindici ospiti.

Entrano a casa tardi e escono presto, specie se l’appartamento è in affitto,perché il padrone e i condomini non lo vengano a sapere.

L’intenzione di offrire un alloggio umano ad un prezzo corrispondente al rimborso spese è certamente valido però dopo un colloquio con il responsabile di una associazione che si occupa da vent’anni di queste cose, ho capito perfino troppo bene che il mio progetto è un’utopia che non regge all’esperienza.

D’altronde impiegare almeno due miliardi di vecchie lire su un progetto certamente traballante e pericoloso, anche per gli stessi beneficiari, sarebbe un azzardo che non mi posso e non mi debbo permettere.

Sto quindi ripiegando sulla linea del Piave, prevedendo una struttura per anziani autosufficienti, sulla scorta dell’esperienza del don Vecchi, con qualche inserimento prudente di qualche extracomunitario in attesa di fare ulteriori esperienze in merito.

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