“La benedizione delle case”

Ognuno ha i suoi problemi ed io di certo non mi sento diverso da tanti altri. Pur sapendo che su questo argomento ho parlato anche recentemente e soprattutto nel passato ne ho trattato in lungo e in largo, ci ritorno ancora una volta a proposito della “benedizione delle case”, una vecchia pratica pastorale quasi totalmente dimenticata dai preti di oggi.

Lo faccio perché da un paio di giorni ho terminato la benedizione delle case dei centonovantatrè residenti del “Centro don Vecchi” di Carpenedo. E’ mia ferma convinzione, collaudata da sessant’anni di pratica sacerdotale, che sia fondamentale, anzi assolutamente necessario, avere un rapporto diretto e personale con i propri parrocchiani, anche se la mia parrocchietta conta solamente 193 “case” e duecentotrenta parrocchiani.

Il cardinale Scola, nostro vecchio Patriarca, pur non essendo riuscito ad attuarla, parlava della necessità della “presenza nel territorio” da parte della Chiesa locale. Credo che non ci sia riuscito soprattutto perché i preti non ci sentono da questo orecchio, un po’ perché sono pochi ma, temo, per il fatto che hanno lo stipendio assicurato come gli statali, elemento che normalmente toglie iniziativa e spirito di sacrificio.

Il primo motivo è smentito dal fatto che i parroci più zelanti e che perciò hanno comunità più vive, lo fanno ancora; modestamente io lo faccio da sessant’anni e non solo ora che ho 193 famiglie, ma anche quando ne avevo duemilaquattrocentocinquanta.

Comunque ritorno sulla mia esperienza attuale. Pur incontrando cento volte al giorno i miei “parrocchiani” nei “vicoli”, nel “corso” o nelle “piazzette” del piccolo borgo del don Vecchi, l’incontro in casa, con la preghiera comune, con l’impartire la benedizione ed un rapporto caldo e fraterno, è tutt’altra cosa!

Confesso che sono stato enormemente gratificato dalla piccola “fatica” che questa pratica pastorale ha comportato. Non si pensi che io viva in un nuovo piccolo paradiso terrestre. Anch’io ho una fetta di parrocchiani non praticanti, anch’io ne ho perfino uno che tiene la porta chiusa e mi rifiuta. Comunque è stato tanto bello e consolante avvertire un caldo legame di fraternità, sentire che se anche qualcuno non pratica il rito religioso, rimane tutto sommato, e continua a vivere, da “figlio di Dio”.

La “presenza sul territorio” e il dialogo personale credo che rimangano insostituibili anche se sono pratiche nate secoli fa.

12.03.2014

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