Il prete e i soldi

Ho già raccontato che in quest’ultimo tempo ho fatto due incontri che mi hanno aiutato (sarebbe meglio dire “mi hanno costretto”) a fare una seria e rigorosa verifica sul mio rapporto col denaro. Su questi due incontri ho già riferito, ma li riprendo perché sono una premessa indispensabile al pensiero che voglio esporre.

Il primo incontro è stato con un collega che si era offerto di prendersi cura della vita religiosa dei residenti al Centro don Vecchi di Campalto. Ho tentato di fargli avere un compenso, com’è nella prassi consolidata da una tradizione più che secolare. Dapprima ho provato a farlo secondo le modalità consuete, ma lui si è cortesemente rifiutato di ricevere quella mercede che un po’ ipocritamente, nel mondo ecclesiastico, è definita “offerta”, ma che in realtà è un compenso. Ho tentato pure anche con soluzioni più eleganti, dicendo che era per la sua parrocchia e per i suoi poveri, ma il rifiuto è stato altrettanto netto e deciso. Infine mi disse chiaro e tondo che aveva fatto una scelta personale di non accettare in alcun modo qualsiasi offerta in occasione di un suo “servizio religioso”. Di fronte ad una testimonianza così bella non potei che essere estremamente ammirato e fare un esame di coscienza sul mio comportamento al riguardo.

Secondo incontro, sempre a riguardo del prete e il denaro, è stata la recente lettura casuale di un volume di un prete della Brianza che dava la stessa testimonianza del collega di cui ho appena riferito, ma che in più teorizzava questa scelta documentandola in maniera veramente seria con testi della Sacra Scrittura e della tradizione patristica.

Al che ho fatto un altro esame di coscienza ancor più serio e rigoroso riguardo il mio comportamento. Sono giunto a queste conclusioni che fanno il punto su questo argomento che spesso costituisce il tallone di Achille per molti preti e su cui l’opinione pubblica è quanto mai sensibile. Penso di non aver mai chiesto un centesimo per il mio servizio sacerdotale (messe, battesimi, funerali, matrimoni, benedizioni varie). Ho sempre accettato quello che spontaneamente i fedeli mi hanno offerto e mi offrono, però in passato l’ho in parte devoluto per le necessità della chiesa e delle sue strutture pastorali e il resto per i poveri.

Attualmente non ho più alcuna struttura a cui pensare, quindi destino tutto ai poveri. Vivendo al “don Vecchi” la mia pensione, pur modesta, mi basta, anzi ne avanzo. Come ho già scritto nel passato, preferisco destinare il denaro sempre a chi ne ha bisogno, però investendolo in strutture, piuttosto che favorire l’accattonaggio di mestiere e non risolvere alcunché.

Raramente ho la possibilità di fare queste precisazioni, quando però mi se ne offre la possibilità lo faccio perché lo ritengo non solo opportuno, ma doveroso. Ad esempio pretendo che le imprese di pompe funebri, in occasione dei funerali, diano ai famigliari dell’estinto una busta prestampata nella quale dico a chiare lettere la mia assoluta disponibilità a celebrare il funerale a titolo gratuito, aggiungendo però che chi desiderasse fare un’offerta sappia che essa va totalmente ai poveri.

Finora questa è la mia scelta, disposto a cambiarla se mi giungessero altre motivazioni. So che questo non mi libera da insinuazioni, sospetti o accuse, però mi mette la coscienza in pace, che è la cosa che maggiormente mi preoccupa.

17.02.2014

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