Ieri ho fatto delle confidenze sul nobile gesto di incoraggiamento e di gratificazione giuntomi da “don Loris” Capovilla, che mi ha fatto veramente del bene, anche perché non sono assolutamente abituato a parole e attenzioni del genere da parte del mio mondo ecclesiastico. Non posso lagnarmi di certo di alcuno perché ho i riscontri che mi merito, perché non frequento le congreghe, penso con la mia testa, faccio le cose di cui sono convinto, sono esigente con me stesso e con gli altri, non sopporto formalismi di alcun genere.
Di solito, spesso, le parole di conforto mi giungono dalla gente umile e semplice con la quale condivido l’avventura cristiana del giornale, della “cattedrale tra i cipressi” e del “don Vecchi”, e che mi è particolarmente cara e mi fa sentire di vivere in una grande e meravigliosa famiglia di amici che si vogliono veramente bene. Comunque la missiva del venerando segretario di Papa Giovanni ha fatto emergere dalla mia memoria un lontano ricordo che non ha nulla a che fare con l’amabile attenzione dell’amato e fedele segretario di Papa Giovanni.
Durante una conversazione con noi seminaristi, il vecchio e saggio Patriarca ci fece una particolare confidenza di ordine spirituale, ma pure esistenziale, che mi ha fatto del bene. Ricordo che il Patriarca che aveva, come credo sia vero per ogni vescovo, tanti impegni, ci confidava che durante le sue intense giornate pastorali, ogni tanto faceva uno stacco ed entrava nella sua “celletta interiore” per raccogliersi in se stesso, per dare significato e consistenza a quello che stava facendo e per incontrarsi con Dio per potersi adeguare alla sua santa volontà.
Credo che in questa pratica ci fosse una grande saggezza: viviamo in maniera pressoché nevrotica, sospinti e tirati da ogni parte, siamo travolti da una valanga di parole, opinioni e pareri, ci occupiamo di mille cose, tanto che non ci rimane mai un momento per noi stessi, per vivere in intimità col nostro spirito e col nostro cuore. Anche i tempi dedicati alla preghiera arrischiano di ridursi a momenti e formule di meditazione perché corrispondono a doveri prescritti. Aveva ragione Papa Giovanni: abbiamo bisogno di momenti di intimità, di solitudine interiore e di dialogo sincero con Dio.
Qualche tempo fa mi capitò per mano un volume che ai tempi del seminario si citava di frequente, ma che poi avevo quasi dimenticato, “Imitazione di Cristo”, di Tommaso da Kempis. Ho cominciato a sfogliare alcune pagine, scoprendo una sorgente fresca e limpida di saggezza e spiritualità. Mi sono chiesto: “Come ho fatto a trascurare un discorso così saggio per dedicarmi a letture seppur positive ma poco dense di vera sapienza?”.
Ho rinnovato il proposito di ritagliarmi ad ogni costo qualche spazio di tempo da riservare solo a me e ad attingere da sorgenti sicure ricchezza per lo spirito.
01.03.2014