Mi ero ripromesso di non intervenire sulla “tempesta in un bicchiere” che ha investito la curia veneziana durante il mese di agosto; in verità però ne avevo già fatto cenno su questo nostro periodico, immaginando che la scelta del Patriarca di retrocedere una ventina di monsignori sia una conseguenza coerente alla rivoluzione radicale – anche se poco apparente – che Papa Francesco sta conducendo avanti. Infatti Papa Francesco, sorridente, dalla battuta popolare e dal comportamento molto simile a quello di un semplice parroco, sta rinnovando la Chiesa in maniera più sostanziale di quanto la gente possa reputare.
Io ho trovato quanto mai logica e opportuna la scelta del nostro patriarca, anche se avrei suggerito di lasciar morire per consunzione i monsignori attuali, non nominandone più di nuovi e questo per non toccare la suscettibilità di chi s’era abituato a fregiarsi di questo titolo che un tempo era onorifico, ma che la sensibilità dell’uomo d’oggi ha svuotato dei pur poveri e discutibili contenuti.
Intervengo solamente perché sono stato stuzzicato da una pungente presa di posizione di mio fratello don Roberto nel suo foglio parrocchiale, “Proposta”. Don Roberto interviene a gamba tesa sull’argomento mettendosi addosso una doppia corazza di difesa. Per il possibile pericolo di essere accusato di invidia per un’onorificenza da lui non raggiunta tira in ballo la celebre favola di Esopo della volpe e l’uva. Per quanto riguarda il merito dei trasferimenti si trincera dietro un passo del Vangelo che toglie veramente il fiato a chi ambisce onori.
Questo discorso di mio fratello potete leggerlo in altre pagine (dell’Incontro del 24/11/2013, NdR) perché lo pubblico anche se è un argomento che non merita troppa attenzione. Ogni tanto penso che non sia peccato soffermarsi su qualche amenità.
Aggiungo una noterella di cronaca che mi permette di suggerire all’autorità costituita di competenza l’opera di purificazione appena iniziata almeno in questo comparto assai marginale. Circa tre, quattro anni fa il vescovo ausiliare mons. Pizziol mi ha convocato dicendomi che il Patriarca Scola aveva pensato di nominarmi monsignore, dato che s’era reso vacante un posto per questa onorificenza. Divenni subito rosso di mio vedendomi bardato da monsignore e gli chiesi quindi la grazia di non mettermi in questo imbarazzo. Il vescovo accettò di buon grado la rinuncia perché gli rimaneva così la possibilità di accontentare qualche altro collega. Dico questo perché non mi si applichi la favola di Esopo e perciò posso permettermi di suggerire sommessamente: «Portate a termine l’opera iniziata perché, pur dopo l’epurazione, ne rimangono fin troppi di monsignori».
Vengo a conoscenza dalla lettura de “La nuova Venezia” che i superstiti monsignori sono: i protonotari apostolici sopranumerari, i protonotari “durante munere”, i canonici residenziali ed onorari della basilica di San Marco, l’arciprete del duomo di Mestre, i prelati d’onore “ad personam” – prelati ad onere “durante munere”, i cappellani di sua Santità, i cappellani delle arciconfraternite di San Rocco, di Santa Maria del Rosario, di San Cristoforo e della Misericordia, il parroco della Bragora e il rettore del Marcianum.
Ora non c’è che da sperare che il vento dello Spirito continui a far cadere le “foglie secche”.
26.08.2013